Dobbiamo definire lo scrittore Bruno Pezzella “Uomo di cultura”. Anche se, a farlo oggi, ad essere definito o definire qualcuno “uomo di cultura”, si rischia di vedersi osservati come se si fosse usciti da una sorta di universo parallelo, impolverato e noioso.
E’ forse il significato ambiguo che si da al termine, che lo assimila a vecchi libri noiosi e passati di moda, a ritornelli ripetuti sul “Leopardi e la natura matrigna”, sugli “Ossi di seppia” che hanno perso il commestibile, terribilmente trasformati, in anni ed anni di ripetizioni senza più credibilità, in ricordi frantumati, spenti, che non hanno più nulla da offrire.
In questo modo, seguendo questa via perversa, si dimentica che la “cultura”, intesa come utilizzo di crescita spirituale attraverso la conoscenza, è pane per i vivi e non fiore reciso per le tombe.
Questa cultura viva, e il tentativo di tenerla viva, sono la compagnia e la spinta (qualche voltala spina?), di Bruno Pezzella, scrittore, giornalista e, sì, vivacemente, uomo di cultura.
Bruno, che conduce in Napoli, con determinazione, la sua battaglia culturale, spronandoci, infiggendo nelle nostre e mail strali d’inviti e Comunicati stampa che ci ricordano gli appuntamenti della rassegna culturale “’Apeiron … o dell’indefinito, principio di tutte le cose”, ideata e coordinata proprio da lui.
Bruno Pezzella, come ebbi già a dire di lui mi ricorda uno di quei personaggi di cui egli stesso parla in un suo precedente lavoro:
– “Gente comune veramente colta, spina dorsale e coscienza di tutte le società progredite; per fortuna ancora la incontriamo nei bar, nella metropolitana, nei luoghi dove il sapere si fa per davvero, che per inciso, non sono soltanto e necessariamente le università e gli istituti di ricerca. Molta di questa gente non la vediamo quasi mai in televisione. È una condizione personale, intima, spirituale che tuttavia è sociale, porta reali e silenziosi benefici alle comunità.”-
Comune, forse no, ma “veramente colta”, sì.
Bruno, elegante, serio, un po’ astratto nell’osservazione quasi platonica delle cose del mondo, continua a scrivere, a prestare il fianco a chi si domanda:-“Perché un autore scrive?”, a quanti contano i libri stampati e li paragonano ai pochi lettori.
Perché scrive un autore? Evidentemente, se vero autore è, scrive perché ha qualcosa da dire. Qualcosa che brucia dentro e non vuole saperne di essere tacitata. Ed ecco che ci costringe a guardare indietro, ai testi che precedono questi “gialli”: sono di differente “indicazioni terapeutiche”, utili all’insegnamento come quel ” Un professore riflessivo. Manuale di specializzazione all’insegnamento“, oppure quel suo:”Sapere, formare”, o anche: ” Il sapere tra incertezza e coraggio. La conoscenza mobile”, dove ha dedicato attenzione a questo “nuovo sapere”, senza punti di riferimento, luoghi certi e persone che lo rendano sicuro. Quel “sapere” cui si abbeverano, qualsiasi sia la fonte, i nostri giovani, lasciandosi permeare, senza scudo di conoscenza, da un flusso continuo e incontrollato d’informazioni. Anche di quel sapere si è occupato Bruno. Poi ce lo ritroviamo, sempre con la sua aria leggermente altera e distratta, alla presentazione di “Controluce, edizioni Homo Scrivens collana Dieci, del 2016, Nella Sala antica e in bilico tra il Borbonico ed il ricordo dei martiri della Repubblica Napoletana dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici” a Montedidio.Tra amici: la dolce e persuasiva giornalista Fiorella Franchini, il forte e incisivo giornalista Antonio Filippetti. l’editore del libro, Aldo Putignano ed una attrice di caldo temperamento come l’Adriana Carli, che, d’achito, ha fatto suo un pezzo del lavoro letterario, introducendolo con temperamento battagliero in un non breve percorso.
Dentro quel “pezzo”, nascosto nel “mastodontico personaggio” (“la montagna”, lo chiameremo anche noi), in realtà si è intrufolata una potente parte della filosofia che l’autore porta con sè ovunque voglia mettere mano, qualsiasi sia la tematica che decide di affrontare. La trovammo nascosta anche nel suo precedente “giallo”, ossia: Nik Stupore … e i tre nodi del marinaio”. Editore: Rogiosi.
“Terapeutici”, definisce Bruno i suoi lavori e, sornione, afferma di non avere mai avuto bisogno di uno psicologo. Il suo ultimo lavoro c’introduce, nelle prime pagine, violentemente, in una scena di sesso brutale e fortemente sadomaso. Smettiamola, noi lettori di cercare l’autore in ogni suo lavoro. Non è detto che lo troveremo dove più facilmente ci aspettiamo si nasconda: nelle perversioni, nelle debolezze umane, nelle strade difficili da percorrersi e “crepuscolari”, o in “controluce”, laddove definire fatti, personaggi, realtà, appare piuttosto difficile.
Il nostro autore lo troviamo nelle descrizioni di Napoli, così vive da poterle assaporare. Nell’accuratezza dello svolgimento dei fatti, seppure all’apparenza tortuoso e complesso. Nel “viaggio” ben definito, che ti conduce, da lettore “che non sa”, quasi per mano. Dove l’autore ha deciso di portarti.
E’ inutile che tu, lettore, voglia “barare”, andando a sbirciare le ultime pagine: no: non vi troverai il facile “the end”, il tenero bacio del “…e vissero felici e contenti.” Se mai quel passaggio fuori norma ti confonderà ancora di più la comprensione, costringendoti a tornare indietro “rimandato”, ripetente, alla ricerca del filo d’Arianna perduto.
Non perderlo: dietro ogni personaggio, dietro ogni storia, c’é stata l’attenzione dello scrittore che ha ascoltato e fatto suo ogni pensiero che non gli apparteneva, per regalarlo ai suoi “personaggi in cerca d’autore”.
Non è perché oggi tanti leggono in “Noir” e in “Yellow” che lo scrittore li ha scritti, ma proprio perché “gli andava di farlo”. E tanto ci basta.