MORRA DE SANCTIS – Sabato 8 novembre al Castello “Biondi – Morra”, di Morra De Sanctis alle ore 18.00 si svolgerà l’omaggio ad Emilio Mariani, Voce di Morra. Prenderanno parte all’evento il Sindaco di Morra
Pietro Mariani, Francesco Pennella, Presidente Pro Loco di Morra, Mario Salzarulo, coordinatore Gal CILSI e Agostino Pelullo, Presidente Gal CILSI. Modera: Paolo Saggese. Ospiti: Franca Molinaro, che leggerà alcune sue poesie dialettali, Donato Cassese, curatore dell’ultima raccolta di Emilio Mariani, letture a cura della Pro Loco di Morra.
Alle ore 20.00: Aperitivo desanctisiano.
Qui di seguito si riporta una parte del profilo scritto da Paolo Saggese per la Storia della poesia irpina: Emilio Mariani il poeta di Morra De Sanctis.
Tra i poeti irpini in dialetto è da segnalare Emilio Mariani (Morra De Sanctis, 1930), che ha dato un importante contributo alla trasmissione alle generazioni future della lingua del suo paese natale, dove ha vissuto praticamente l’intera sua esistenza. È autore, infatti, di due raccolte poetiche nel dialetto di Morra, la prima, Fiori di campo, poesie morresi (Casa Editrice Menna, Domicella, Av, 1996), con un saggio introduttivo di Gerardo Di Pietro, Fondatore e direttore della Gazzetta dei Morresi Emigrati (per il quale cfr. qui, SI3), dal titolo Alcune regole di pronunzia (piccola storia di un dialetto redivivo), la seconda, “Li tiembi d’ tata”. Poesie in dialetto Morrese (Casa Editrice Menna, Solofra, Av, 1999), con Introduzione di Giuseppe Iuliano.
Tra l’altro, in dialetto morrese Emilio Mariani ha scritto anche una pièce, Lu Hafiu. Commedia dialettale irpina …, Casa Editrice Menna, Avellino, 2005, cui è seguita la raccolta di poesie in italiano Melodie vagabonde. Poesie (Menna, Avellino, 2007).
Relativamente al dialetto morrese e al contributo che ne ha dato Mariani per la sua sopravvivenza, ha scritto parole opportune Gerardo Di Pietro nella nota introduttiva alla prima raccolta. Ecco le sue riflessioni: “Ritornando alle origini è d’uopo ricordare che, nei tempi passati, nessuno ha scritto mai in dialetto morrese. Abbiamo è vero alcune parole, che affiorano qua e là nei diversi atti antichi che si possono reperire ancora a Morra, ed abbiamo anche avuto dei poeti popolari morresi, che ci hanno lasciato dei versi dialettali; ma questi versi, purtroppo, ci sono stati tramandati tutti a voce” (p. 3). E aggiunge, dopo aver sottolineato la difficoltà di trascrizione fonetica di una lingua mai prima scritta: “Subito dopo i primi saggi dialettali morresi, con i miei Racconti Morresipubblicati nel 1983 sulla ‘Gazzetta dei Morresi Emigrati’, Emilio Mariani incominciò a scrivere le sue poesie in dialetto, ed a pubblicarle sul nostro giornale. Già le prime poesie furono accolte con plauso dai nostri lettori. In esse si concentrava tutta l’arguzia, la capacità di osservazione, il senso dell’umorismo morrese, che si sposavano egregiamente con la vena poetica innata del Mariani. Morra aveva trovato il suo poeta per eccellenza” (pp. 4-5).
Giuseppe Iuliano fa eco a queste parole e approfondisce queste riflessioni nella nota introduttiva alla seconda raccolta. Qui, infatti, Iuliano pone in rilievo non solo le motivazioni di recupero di una lingua, che sta per scomparire o comunque per trasformarsi, come ogni lingua, sino a perdere la sua peculiarità, ma anche le ragioni di omaggio a quella civiltà contadina, che, con tutti i suoi limiti, aveva rappresentato quell’insieme di valori, cui aveva creduto gran parte della popolazione italiana sino ad alcuni decenni fa. Ecco le parole di Iuliano, presidente del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud: “Contro questa tendenza [a porre da parte la ‘lingua dei padri’], vuoi l’orgoglio di appartenenza ma anche il sottile gioco di memoria, vuoi la veridicità di valori umani complessivi di un tempo ed ormai snaturati, ci sono sparute resistenze, voci arrochite malate di fantasia, anche nostalgici riflussi, esempi di una tradizione in declino, ultima eredità di un mondo divenuto estraneo. E con esso quanto era partecipe e funzionale alla sua essenza, ivi compresi la creazione, la manipolazione e l’uso di oggetti ed utensili. Tanto per una devastante tecnologia” (p. 5).
Ma Iuliano pone anche in evidenza l’impegno civile di Mariani, la critica della politica famelica e incapace di rispondere ai problemi dei cittadini, l’assenza di prospettive per questa terra, la subalternità dei poveri, il dolore degli ultimi “Emerge”, scrive il poeta di Nusco, “un mondo sconquassato da atavici mali e dai postumi di una quasi ventennale tragedia che, con le sue ramificazioni, riesce a condizionare il presente, riaffermato a sua volta da nuovi e ricchi padroni. Al contrario Mariani simpatizza col libero mietitore ‘mparanza’ con altri contadini, a piedi e con la scorta degli attrezzi sottobraccio, che sceglieva la strada della Puglia per offrirsi al mercato delle braccia, come nella parabola del vignaiuolo, ai proprietari di terra, in cui le distese assolate di grano, ricchezze abbaglianti la vista, davano, oltre il corrispettivo, un’imbrunitura gratuita, senza amare” (pp. 6-7).
In queste raccolte si racconta, dunque, la vita di un tempo dei paesi irpini, la fatica, gli stenti, i sapori, gli odori, i mestieri, i suoni delle strade, l’emigrazione di ieri e di sempre, i cambiamenti prodotti dal terremoto, l’assenza di speranze, dunque “Morra de na vota”, il paese di una volta, i valori di un tempo, il rispetto degli anziani e delle tradizioni, le credenze e la fede.