NAPOLI – L’Avaro di Moliere è sempre un classico che non delude e soprattutto non stanca, non si lascia sbiadire dal tempo e dalle tendenze. Questo lo spettacolo che Lello Arena mette in scena all’Acacia dal 20 al 23 febbraio prossimi. E’ proprio il protagonista a renderlo fruibile ed anche interessante mettendoci una ritmica recitativa incalzante, mira all’ esasperazione del vertiginoso virtuosismo teatrale del testo, la ricerca di una riproducibilità di passioni vere, magari viziate, tende a conferire caratteri di ulteriore credibilità agli stilemi dialogici dell’epoca, la individuazione di uno spazio irreale dove abbia ragione e luogo la storia ne segnala la atemporalità. I personaggi sembrano addirittura attraversare le epoche ( come se la tela si aprisse nel ‘600 e calasse sul 2000) in una successione di stili che si snoda nell’immutabilità della trama originaria. Intorno un perimetro, quasi museale, di teche che custodiscono una nutrita e cangiante collezione di sedie. ( il collezionismo come altra declinazione dell’avarizia: ossessione del possedere? ) Sedie di epoche diverse in cui è possibile leggere il segno del potere, ma anche quello dell’assestamento e, conseguentemente, dell’impigrimento e della devitalizzazione. Simbolo e segno, insomma, di quella depressione dissimulata di Arpagone che gioca, combatte e si dimena con indomito furore e spaesata dabbenaggine contro le maschere della borghesia e contro i fantasmi della propria psiche. Un particolare interessante e da non sottovalutare è l’ambientazione: siamo a Napoli; sebbene la dizione perfetta dei personaggi non consenta di percepirlo distintamente, si tradisce l’intonazione di Lello Arena. Ma la sua dizione può essere voluta? Essendo il padrone di casa, può decidere perfino come relazionarsi da questo punto di vista con chi lo circonda? Tuttavia quello che lo spettacolo evidenzia è che il mondo corrotto, il mondo molierano di complottismi, ipocrisie, opportunismi, raggiri ed arrivismi, popolato da fingitori, spreconi, faccendieri, mediatrici, e soprattutto da avari, non rappresenta certamente una tematica legata ad un’epoca remota, confinata al lontano Seicento; tutt’altro, è ancora assolutamente viva al giorno d’oggi, dove chi è più potente e più ricco si finge povero agli occhi della gente che lo circonda, al fine di essere compatito e di evitare di essere derubato dei propri averi. E quando viene a conoscenza che gli altri minano la sua reputazione tacciandolo di avarizia, allora subentrano la negazione e l’allontanamento delle persone che fino a quel tempo gli sono stati vicini. Un mondo dove i sinceri vengono allontanati e gli adulatori vengono
L’avaro
di Moliere
con Lello Arena
e con Fabrizio Vona, Francesco Di Trio,Valeria Contadino, Giovanna Mangiù
regia Claudio Di Palma
AL TEATRO ACACIA dal 20 al 23 febbraio www.teatroacaccia.com
Info: Tel 0815563999 direzione@teatroacacia.com
NOTE DI REGIA
Uno dei più importanti spettacoli di Molière torna in scena per svelare il dramma dell’ avarizia. La storia narra dell’avaro Arpagone e delle sue vicende che si dipanano portandoci in un mondo di intrighi e sotterfugi che nella sua intenzione hanno lo scopo di non mettere a repentaglio la propria ricchezza anche a costo di mettersi contro i figli. Matrimoni non graditi, alleanze, furti, progetti sfumati, equivoci sono il centro di un intreccio che ci conduce all’interno della storia nella quale non mancano dialoghi diventati celebri pezzi del teatro comico di tutti i tempi. Un classico diretto in un nuovo allestimento da Claudio Di Palma con Lello Arena che, reduce dal grande successo di Capitan Fracassa in scena da due stagioni, affronta, dopo “George Dandin” e “Tartufo”, per la terza volta un testo di Moliere in un ruolo, Arpagone, che come scrive Squarzina, ha in sé nello stesso tempo il tragico e il comico. “ Chiedere al servo del figlio di mostrare le altre due mani o imporre con trovata originale al cuoco/cocchiere di predisporre il castagnaccio fra i primi piatti di un pranzo, sono manifestazioni del titolare di un carattere con un impulso più forte di lui, tanto più esilaranti in quanto basterebbe poco a farle diventare oggettivamente dolorose(…) . Giovanni Macchia nel “Silenzio di Molière” parla di “una maschera in cui il dolore, dissimulato col riso, diventa smorfia atroce”. È questa dialettica, sempre in atto del coesistere nel cuore umano della sistole del carnefice e della diastole della vittima a imprimere alla commedia il marchio del grande teatro.”