In Italia si stima che nel 2012 siano stati diagnosticati 364mila nuovi casi di tumori maligni (circa 1.000 casi al giorno). Tali patologie costituiscono il 28 per cento delle cause di morte ogni anno e la prima causa di morte della popolazione adulta. Anche la prevalenza è impressionante in quanto circa 2.250.000 persone (oltre il 4 per cento della popolazione residente) hanno avuto una diagnosi di tumore e di questi il 57 per cento dei casi (1.285.680 persone), pari al 2,2 per cento della popolazione, è rappresentato dai cosiddetti “survivors”. L’impatto socio-economico, in termini di spese sanitarie e perdita di produttività, è pari allo 0,6 per cento del Pil, con un costo complessivo che supera gli 8 miliardi di euro, pari a circa 25.800 euro l’anno per paziente. Ma ci sono anche alcuni aspetti positivi, come la riduzione dei cosiddetti “big killer”, i tumori relativi del colon retto, del polmone, della mammella e della prostata. Emerge, infatti, una riduzione significativa della mortalità complessiva. Il calo è del 12 per cento nei maschi e del 6 per cento tra le femmine. Ciò conferma che l’oncologia clinica (chirurgica, radioterapica, medica) sta ottenendo costanti risultati. Considerando questo quadro complessivo, l’Associazione House Hospital onlus, presieduta dalla dottoressa Rosa Vitiello, lancia un accorato appello al presidente della Giunta della Regione Campania, l’onorevole Stefano Caldoro, e al presidente della V Commissione Regionale Sanità, l’onorevole Michele Schiano di Visconti, affinché sia realizzata la “Rete Oncologica”, condizione essenziale per la presa in carico del malato di cancro (continuità di cura, riabilitazione e sostegno psicologico). Difatti, non è più tollerabile che in Regione Campania non esista tale rete e vi siano ancora diseguaglianze gravi nell’affrontare le problematiche dei pazienti. La Favo, di cui l’Associazione House Hospital onlus è socio fondatore, la Sico, l’Aiom e l’Aimac, sulla base di una convenzione con il Ministero della Salute, hanno analizzato più di 14 milioni di Sdo ed è emerso un chiaro e netto squilibrio fra centri che hanno trattato le diverse patologie e volumi di attività. L’identificazione dei centri a elevata esperienza potrà produrre importanti vantaggi per i pazienti ma anche una riduzione di inefficienza e sprechi attraverso l’allocazione verso differenti funzioni degli ospedali più piccoli e rafforzare il sistema territoriale della riabilitazione e del pronto intervento. Pertanto, tali associazioni hanno presentato una serie di proposte e di iniziative in favore dei malati oncologici, che possono essere così riassunte: il 30 per cento dei malati oncologici muore presso strutture ospedaliere destinate al contrasto di patologie acute, anziché presso il proprio domicilio, generando gli alti costi pro-die dei ricoveri in strutture complesse e ad alto tasso tecnologico (con il rischio aggiuntivo di sottrarre posti letto a malati oncologici in fase acuta), rispetto a quelli, notevolmente minori, dell’assistenza domiciliare e dell’accoglienza negli Hospice all’uopo predisposti; contrastare l’inapplicazione della terapia del dolore, infatti, l’uso delle terapie antalgiche in oncologia costituisce un sollievo per i malati e li aiuta a convivere con la malattia; la riorganizzazione dei posti letto prevista dalla “spending review” induce a focalizzare l’attenzione sulle condizioni necessarie per garantire la qualità dell’assistenza ospedaliera ai malati oncologici. Applicando procedure specifiche per i tagli sulla base dei volumi trattati, rispetto ai 1.015 centri che si occupano di cancro del colon retto, solo 196 risultano adeguati, e così dei 906 che si occupano del cancro della mammella, solo 193, dei 702 del polmone solo 96 e dei 624 della prostata solo 118; l’utilizzazione del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) in solo 4 o 5 Regioni, a fronte dell’ausilio importante che il Fse può rappresentare per assicurare la “continuità assistenziale”, costituisce un’altra disfunzione da recriminare e un campo d’impegno per realizzarne la totale diffusione a livello nazionale; scarso coinvolgimento dei medici di medicina generale per le fasi successive ai trattamenti ospedalieri, quindi è necessario che il complesso delle misure che costituiscono il “follow up” venga opportunamente ricondotto al medico di medicina generale, con il supporto dei servizi territoriali, in collegamento sistemico con gli specialisti oncologici che sono intervenuti in precedenza; eliminare la disfunzione legata alla mancata disponibilità di nuovi farmaci in diverse regioni, a causa di ritardi da parte degli amministratori regionali nell’ammetterli a prescrizione in favore dei malati oncologici; superamento delle gravi disparità di accesso alle cure attualmente esistenti (nel 2010 a fronte di 598 posti letto in Hospice in Lombardia e 241 in Emilia Romagna, se ne censivano solo 20 in Campania e 7 in Calabria, mentre vi erano 27 strutture con servizio di radioterapia in Lombardia, 7 in Puglia e 3 in Calabria); superare l’inadeguatezza delle strutture pubbliche e/o convenzionate in tema di riabilitazione oncologica, come segnalato ormai da vari anni con l’apposito Libro bianco sulla riabilitazione oncologica; la medicina personalizzata, grande e recente conquista della ricerca più avanzata, risulta difficilmente praticabile a causa della persistente carenza di laboratori molecolari risultando solo una lodevole petizione di principio, più che un traguardo da raggiungere. In definitiva, si può affermare che una migliore organizzazione, basata sulla razionalizzazione delle procedure e la connessione a rete dei presidi e dei servizi, potrebbe assicurare una migliore assistenza ai malati e consentire risparmi economici alla gestione del sistema.