Paolo degli Sha’Dong: una voce bellissima nel corpo di qualcuno nato per il palcoscenico e la musica. Anni fa ebbi modo di premiare, come presidente di una giuria in un concorso musicale, una giovane donna assieme alla quale, nel corso della consegna di una coppa, feci una foto. Anni dopo quella ragazza era una cantante famosa ed io con qualche anno di più ho ripetuto con lei una foto. Bella soddisfazione.“Ho naso”: Paolo di Ronza, cantautore degli Sha’Dong è un artista. Quasi impossibile fotografarlo in scena: non sta mai fermo e se ne ricava, a volte, una fotografia che fa pensare ai quadri futuristi di Boccioni inneggianti alla velocità. Una voce imperdibile, confortata dai componenti della sua band che suonano bene e si muovono bene in scena. Un gruppo che meriterebbe ben altri palcoscenici, anche perché il loro cantante è un cantautore di tutto rispetto:-“Tra veglia e sonno, sulla linea tra la notte e il giorno, vivere a metà tra veglia e sonno. Melodia recondita in un sogno la tua voce m’illumina”-
Nel locale pieno dei suoi fans, con le giovani donne che si agitano al ritmo della musica, gli applausi, il seguito delle canzoni conosciute a memoria dal “suo” pubblico che lo segue in giro per i locali dove canta, Paolo è una persona “diversa” da quello che puoi conoscere ogni giorno. Michele Sancisi, in un suo libro, molti anni fa definì Walter Chiari un “animale da palcoscenico”. Faccio mia ancora una volta questa espressione, forse troppe volte usata ed anche a sproposito, per definire, invece, la personalità di questo “grillo salterino”, agile, magro, dal ciuffo biondo intrigante, la voce che riesce a raggiungere toni imprevedibili in un uomo, ma ben modulata, ordinata, corretta, giusta nei toni, giacché, oltre ad avere una bella voce Paolo insegna canto. Lo si riconosce dal modo con cui, a tratti, dirige il suo pubblico esortandolo a condividere passi delle canzoni composte da lui, che il suo pubblico conosce. Lo recuperiamo, a fine serata, sudato, esaltato, con il trucco di scena un po’ macchiato per chiedergli “lumi” su definizioni musicali e idee personali.Ci spiega:-“Se davanti al nome del genere musicale di una band mettiamo il prefisso “Synth” (Synth sta per Synthesizer, Sintetizzatore, ovvero generatore di suoni sintetici), la band in questione farà presumibilmente un uso abbastanza largo di tastiere, loop, suoni campionati ed altri suoni generati in modo “elettronico” (sintetici, appunto). Il Synthpop ha avuto il suo momento di massimo splendore negli anni ’80 (citiamo ad esempio i Duran Duran, i Depeche Mode, gli Alphaville, i Softcell…), ed è recentemente tornato di moda. La mia scelta di utilizzare tali sonorità è di carattere puramente affettivo: i suoni del synthpop/rock sono quelli che hanno accompagnato la mia infanzia e mi sono rimasti più impressi.” Accattivante, in ogni caso: riesce a “parlare”, assieme alla sua band con ogni tipo di pubblico, dai giovanissimi ai “meno giovani”. Il gruppo degli Sha’ Dong è composto da RYO (voce e sintetizzatori) e da LOVEKEY (chitarre e sintetizzatori); inoltre la line up live, vede attualmente alla batteria l’ormai veterano YNNO (al secolo Gianluca Borrelli), al basso elettrico LINK (alias Lino Cappabianca) e, DJset (un percorso parallelo che ha portato la “fluorescenza” nei club e nelle discoteche di tutta Italia), alle tastiere l’ inossidabile TOX (Alessandro Crescenzo). Il loro sempre presente road manager è Domenico De Masi. Per il loro ultimo disco: Pino Tafuto (Pianoforte in “libera -piano e voce-), registrato e mixato nel “Lovekey studio” da Paolo Covertito; assistente di studio Daniele Lapenna; masterizzato da Enzo rizzo al “Soulfingers Mastering studio”; fotografia e progetto grafico di Frames; abiti “Poseidonia”
Tornando alla improvvisata intervista, gli abbiamo chiesto se nascere in Italia ed in Campania in particolare, fa un artista differente rispetto a chi sia nato in altra nazione e Regione. Ci dice: –“Ritengo che ignorare il proprio background culturale sia sintomo di pochezza intellettuale. Sono sempre stato attratto dalla tradizione operistica italiana, in particolare dal romanticismo dell’ 800 (Donizetti e Rossini su tutti), dalla Canzone Napoletana, e quindi dalla cura e l’ attenzione per la melodia. Ci sono tantissimi autori italiani che ammiro sul piano musicale e/o letterario. Da cantante e studioso della voce ammetto però che la mia attenzione spesso viene catturata dalla performance e dal performer piuttosto che dall’ opera.”- Gli abbiamo anche proposto un parere sui programmi televisivi che oggi sembrano decidere “chi” sarà il nuovo mito della canzone, per mezzo di prove e promozioni da parte di “esperti”. Ci risponde:- “Sui programmi televisivi che lanciano cantanti non ho un parere positivo. È mia convinzione che la Musica sia professionismo oltre che arte, o passione che si voglia. I talent show o programmi pseudo-reality servono solo ad alimentare l’illusione collettiva che chiunque possa “farcela”. Chissà se la gente si chiede come mai nessun “artista” attuale dura più di un quinquennio. Ai padroni delle televisioni, oramai detentori dei canali di vendita anche nella discografia, interessano volti nuovi ogni due o tre anni per stare al passo con i velocissimi tempi televisivi, quindi puntano su personaggi facilmente manipolabili, da riciclare occasionalmente. Le grandi case discografiche si adeguano a tale meccanismo acquistando spazi all’interno dei talent per i loro pupilli. Questo per me non ha niente a che vedere con la Musica.”- Di fronte al muro di silenzio che sembra calare sugli artisti, anche validi, “figli di un dio minore”, come si pone “RyO”?:-
“Le difficoltà che si incontrano sono tante, e sono paragonabili a quelle che caratterizzano il percorso di ogni giovane uomo o donna della nostra epoca: si passa una vita a studiare per ritrovarsi a fronteggiare qualche cosa che non si comprende bene. Sembra che a darti un lavoro (a nero e sottopagato) ti facciano un favore. Nella musica il danno viene, probabilmente, anche dal fatto che esistono ormai più musicisti che pubblico. Vogliamo essere tutti protagonisti: perché accontentarsi di essere spettatori quando “tutti possono farcela”?”- Un’ultima domanda la facciamo in riferimento al modo con cui prendono vita le sue canzoni:-“Come mi nascono le canzoni? Provo a dirlo: non sono mai stato un tipo estroverso, contrariamente a quanto le apparenze lascino supporre. Ho sempre fatto fatica ad esprimermi, a tirare fuori alcune emozioni. Per non impazzire ho imparato a cantare, a suonare, a scrivere canzoni. La maggior parte le scrivo in treno o in auto, o mentre faccio jogging. Il fatto di “viaggiare” mi aiuta a materializzare quello che sento. La presenza di questo che potremmo definire “canale di sfogo”, mi rende una persona stabile ed equilibrata: tiro fuori tutto “il peggio” quando mi esibisco e quando scrivo, quindi ho una vita privata, in linea di massima, decisamente serena. Credo nella famiglia, nella semplicità, nel sorriso. L’ultimo mio disco è dedicato a mio padre, che ho perso poco tempo fa; probabilmente la persona cui ero più legato. Ho sentito dire da qualcuno che “bisogna elaborare il lutto” o anche: “non si è ancora reso conto di quello che è successo”. Ma non lo credo vero. A mio parere ci si ritrova semplicemente scaraventati all’interno di una storia che non si vuole vivere, e per quanto possiamo riuscire a rassegnarci una parte di noi considererà questa cosa sempre irragionevole. Non c’è da elaborare, c’è solo da subire e poi reagire di conseguenza, provando a non impazzire. Io provo a “non impazzire” scrivendo canzoni e cantandole. Tiro fuori tutto quello che posso quando condivido tutto questo con gli altri, ogni volta, fino a che non mi sento svuotato. La tecnica è il mezzo attraverso il quale cerco di non provocarmi dei danni, visto che la voce è uno strumento delicato ed affascinante.”- Lasciamo quindi Paolo ed il suo gruppo, stremati e sudati dopo la performance di questa sera, nell’attesa che io possa dirmi di avere scoperto altri artisti destinati al successo e incontrali di nuovo, famosi.
Bianca Fasano.