Il 26 gennaio il Teatro Carlo Gesualdo ha deciso di onorare il giorno della memoria con lo spettacolo “Senza confini. Ebrei e zingari” portato in scena da Moni Ovadia. Un viaggio attraverso la storia del popolo ebraico e del popolo dei rom, popoli sempre e comunque; un viaggio attraverso i confini della memoria storica e umana. Nonostante siano passati quasi settant’anni dalla strage degli ebrei ci ritroviamo ancora oggi circondati da confini che non sono quelli politici, economici, territoriali ma sono quei confini che l’uomo pone tra se e gli altri uomini, ci troviamo ancor oggi a sentire di uomini che si vedono costretti a fare i viaggi della speranza e spesso trovano la morte, la reclusione, la schiavitù, l’impossibilità di far circolare le loro idee e i loro pensieri. Il confine non può essere il luogo dove l’uomo trova la morte o la prigionia, non necessariamente fisica ma anche mentale, ma dovrebbe invece essere il luogo del limitare su cui si incontrano gli uomini, si scambiano le idee, si scambiano i loro corpi per accogliersi reciprocamente, per confrontarsi, per generare la vita. Se vogliamo un presente ed un futuro nostro abbiamo bisogno della memoria, l’unico strumento per costruire il nostro cammino, la base di ciò che sappiamo su noi stessi. E sulla scia delle celebrazioni per la giornata della memoria torna, domani 31 gennaio, il quarto appuntamento con “Café Philo” al Teatro Gesualdo che in questa occasione partirà proprio dal risvegliare le nostre coscienze sulla “banalità del male”. Ci si interrogherà sul perché ci sono crimini così malvagi, avidi, egoistici, impossibili che l’uomo non può perdonare né punire; il male non ha confini, invade e devasta tutto il mondo, non ha la profondità, le radici che può avere il bene, il quale proviene dalla mente e dal cuore, ma cresce in superficie come i funghi; dietro il male non c’è il pensiero, non c’è la ragione, c’è la totale assenza di idee: ecco, qui sta tutta la banalità del male. Un male che come diceva Primo Levi è beffardo: prima ti sorride e poi ti uccide; una cosa orrenda è accaduta nella storia dell’umanità: la banalità dell’uomo gli fece commettere un crimine contro i suoi simili, un attentato al nostro esserci sul mondo, alla nostra convinzione di esistere. La banalità risiede nella normalità che portarono i nazisti al genocidio, una normalità che vivevano senza nessuna preoccupazione di quanto stavano facendo, con la coscienza a posto perché rispondevano a ordini superiori. La banalità del male sta nel fatto che ottanta milioni di tedeschi si sono comportati verso gli ebrei (sapendo a cosa andavano incontro) come se nulla fosse, come se non li riguardasse e forse solo alla fine si accorsero di quanto avevano fatto e forse se solo avessero detto no a leggi superiori avrebbero potuto salvare non solo milioni di persone e ma avrebbero potuto salvare anche la loro coscienza.
Male e bene sono comunque due sentimenti, sono delle emozioni che un uomo prova nei confronti di un altro uomo, emozioni che provengono dal cuore e dalla mente, emozioni sulle quali c’è un pensiero, una riflessione e quindi se è esistita ed esiste ancora la banalità del male può esistere anche la banalità del bene? La banalità del male proviene dalla normalità degli esseri umani ma dalla stessa normalità proviene anche il bene e quindi anch’esso è banale. Così come dalla normalità dei nazisti nacque lo sterminio in massa di milioni di persone, dalla stessa normalità di Giorgio Perlasca, un mercante padovano che negli anni quaranta si era recato a Budapest per affari e che ricercato dalle SS, invece di fuggire, come avrebbe potuto grazie all’ aiuto dell’ ambascita spagnola, uscì il coraggio di rischiare la propria vita per salvare quella di migliaia di ebrei. Fingendosi ambasciatore del paese iberico, e falsificando la documentazione d’ identita’, riusci’ a riparare oltre 5000 ebrei in appositi edifici da lui dichiarati sotto la protezione del consolato spagnolo. E cosi’, per paura di provocare un incidente diplomatico, i tedeschi lo tollerarono, gli lasciarono dar ricovero a tanti esseri umani, il cui destino sarebbe stato, altrimenti, il lager. Una storia, quella di Perlasca, rimasta nascosta per tanto tempo per il semplice motivo che forse molti si sarebbero chiesti: “Se per salvare migliaia di ebrei e’ bastato un semplice commerciante italiano, tutti o quasi i carcerati del campo avrebbero potuto salvarsi grazie ai diplomatici veri? Dove erano i politici in quel momento? Che cosa stavano facendo? Niente e nel loro far niente hanno lasciato che gli uomini fossero trattati peggio dei cani randagi. Eppure tutto era possibile: tutto, bastava “solo” volerlo. Perlasca era convinto che tutti avrebbero reagito nella sua stessa maniera, aveva fiducia nel genere umano; un uomo “normale” che seppe mettere in gioco la propria vita per salvare quella di altre persone, semplicemente perché non c’era altro da fare.”Che cosa avrebbe fatto lei al mio posto?”, domandava Perlasca a chi, dopo la guerra, gli chiedeva il perché del suo gesto. Ma da sempre, si sa, fa più notizia fare del banale male che fare del banale bene.