Sarà inaugurata sabato 26 gennaio alle ore 18.00 presso il Teatro Carlo Gesualdo di Avellino la prima mostra fotografica del maestro Salvatore Gebbia dal titolo “This bitter Earth”. Questa terra aspra, amara è la terra che Gebbia ha potuto osservare durante i suoi viaggi in Asia, Africa, Europa e Sud America e che ha deciso di fissare in 40 suggestivi scatti fotografici. Un viaggio in giro per il mondo che tenta di sottolineare quel legame imprescindibile che intercorre tra i luoghi e le persone che quei luoghi li popolano. Il titolo della personale “This Bitter Earth”, poi, è un omaggio a Max Richter, le cui musiche guideranno lo spettatore nel percorso visivo del Foyer del Teatro “Carlo Gesualdo”. Le immagini, accostate per affinità di soggetto o di emozione e scattate in luoghi lontanissimi fra loro e in periodi diversi, verranno legate le une alle altre in un concept musicale che fa della mostra del Maestro Gebbia un’esperienza multisensoriale.
«La passione per la fotografia nasce circa 15 anni fa come esigenza di sperimentare un linguaggio differente e complementare alla musica – racconta Salvatore Gebbia – E’ una passione strettamente legata al “viaggiare” unica pratica che permette di incontrare altra gente, altri volti, visitare luoghi remoti per poi raccontare la loro storia in maniera semplice, ma immediata come solo la fotografia riesce a fare. Una crescita culturale e un arricchimento interiore che ispira la mia professione di musicista e compositore».
Quelle del Maestro Gebbia sono immagini molto particolari tanto da suscitare meraviglia, scalpore e dibattito e che fanno chiedere allo spettatore se quelle che sta osservando sono immagini come tutte le altre, come quegli scatti di bambini, donne e guerrieri che puoi trovare benissimo su internet oppure se queste immagini hanno quel qualcosa che ci fa andare oltre al fatto di essere semplicemente fotografie. Che cosa ci sbalordisce tanto di fronte a queste foto? Forse ci sbalordisce il fatto che ci pongono di fronte all’amara realtà di queste terre ma allo stesso tempo a questa realtà si contrappone la forza e la determinazione di questi popoli, valori che sentiamo e percepiamo fissando gli occhi dei bambini, scorgendo la timidezza delle donne nell’attimo in cui sono state fotografate, osservando la postura dei guerrieri. È come se queste foto facessero le veci visive di chi, nell’istante in cui sono state scattate, era assente; è come se attraverso i volti di questi uomini, attraverso il loro sguardo sfuggevole noi possiamo percepire l’identità di questi popoli, la malinconica bellezza delle loro terre.