Grande attesa ad Atripalda (Avellino) per la mostra di Paolo D’Amore, Lo spazio perduto, che sarà inaugurata sabato 3 novembre 2012 alle ore 18 nella splendida cornice della Dogana dei Grani. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 18 novembre e proporrà 25 opere dell’artista che, attraverso i suoi lavori, racconterà la sua visione del mondo e della vita, uno spazio perduto appunto, una dimensione di autenticità che è stata soppiantata da una serie di schemi a cui tutti ci atteniamo senza assaporare fino in fondo il gusto della quotidianità.
Il percorso espositivo presenta una serie di condizioni esistenziali dell’uomo, in cui la forma umana è raffigurata nella sua essenza, nella sua fisicità più pura, senza gli orpelli della modernità che spesso ci incatenano a una vita che non ci appartiene, che è apparenza e non verità. La scelta stilistica di D’Amore è frutto della sua visione dell’arte, che è principalmente un modo per materializzare la propria essenza, la propria emozione, e donarla a chi è pronto a riceverla. Trasmettere il proprio essere all’altro, anche solo verbalmente, e ricevere nello stesso modo, è un atto compiuto nella sulla totalità, è la vera espressione artistica dell’uomo.
«L’arte – spiega – aiuta a liberarti da tutto ciò che il mondo ti spinge a credere (un mondo artefatto), lasciandoti completamente indipendente nel creare una forma significante, recepibile da chi fa della propria vita un’emozione. Togliersi quella veste che non ci appartiene è l’obiettivo dell’uomo-artista. Dando vita alla propria essenza si ha la possibilità di autenticare la propria opera d’arte, non più nascosta dentro il proprio corpo, ma liberata, generando sentimenti autonomi da un mondo impersonale. L’obiettivo di un artista non è quello di essere semplicemente un corpo che si muove producendo qualcosa, ma di un corpo che diventa un’opera d’arte, vivendo al di fuori di uno schema convenzionale, dove è tutto paradossalmente statico, immobile nella sua freneticità effimera, nell’incorrere in quello che apparentemente è vita».
In questo senso, l’artista si allontana da se stesso e dal mondo per poi ritrovarsi e ritornare con le proprie opere . L’arte, quindi, è uno strumento utile a liberarsi di tutto ciò che non appartiene alla natura umana, «un tutto che è privo di quella sostanza necessaria a determinare la personalità artistica di un uomo nel proprio tempo – prosegue D’Amore – Non credo che un artista possa esprimersi senza sapere chi “ è ” o cosa “ è ” . Tanti credono di essere, ma non sono. Altri, a volte, credono di non essere, ma sono».
Paolo D’Amore si forma artisticamente a Roma, sua città d’adozione, dove scopre l’arte in giovane età. Ben presto però comprende che l’arte figurativa è troppo stretta per una mente prorompente come la sua. Ecco, allora, il salto che lo immerge in quell’espressionismo che meglio rispecchia la sua esigenza interiore. Non contento, ma conservando preziosamente gli insegnamenti precedenti, comincia a dedicarsi alla scultura come coronamento di un percorso partito da lontano e che lo vede ancora oggi alla costante ricerca di un’autenticità che non è possibile rintracciare se non nell’arte.