Chi, fra gli adolescenti – e poco più – degli anni Ottanta, non ha canticchiato e ballato Don’t Leave Me Yhis Way? (cover del brano scritto da Kenneth Gamble e portato al successo da Harold Melvin & The Blue Notes nel 1975). La band era quella dei Communards (un duo, per la verità), capitanata dall’efebico e ribelle (almeno per l’epoca, vista la sua dichiarata e propagandata omosessualità) Jimmy Sommerville, tra i più famosi cantanti in falsetto della musica pop. L’appariscente controcanto era di una giovane rosso fuoco, dalle corde vocali agogiche, pronte ad ogni torsione, fino a giungere alle dinamiche baritonali. Da quell’hit single sono passati venticinque anni e Sarah Jane Morris ha maturato un bel malloppo di esperienze e collaborazioni, vincendo anche un Festival di Sanremo accanto a Riccardo Cocciante. Tredici gli album a suo nome, che rispecchiano il vissuto della cantautrice londinese. Ultimo nato è l’affascinante progetto «Cello Songs» (Cinik Records, 2011), con gli archi fiancheggiati da un bel numero di ospiti, amici e collaboratori storici di Sarah Jane Morris.
Com’è nata l’idea di “Cello Songs”?
L’idea di «Cello Songs» è nata alcuni anni fa da una collaborazione per l’incisione di un brano di Tom Waits in occasione dei premi italiani per la TV e il cinema, quando Enrico Melozzi fece un arrangiamento per me e decidemmo che avremmo lavorato insieme in futuro. Enrico fece gli arrangiamenti degli archi per «Where It Hurts», il mio disco del 2009. Pensammo che sarebbe stata un’idea fantastica mettere insieme orchestra di violoncelli e fare insieme un disco di musica classica contemporanea.
Colpisce particolarmente l’arrangiamento sulle musiche di Claude Debussy per l’azzeccata scelta delle parole. Ti è venuto spontaneo associare la musica alle parole?
E’ stata una dura sfida per una cantautrice come me. Prendere un brano di musica classica come questo e avventurarsi nel dargli un testo è stato un compito difficile. Enrico scelse il brano e ne cambiò la struttura in modo da dargli la forma di una canzone e così, durante una notte a Roma nella mia stanza d’albergo, pensai e scrissi questo testo. Mi ispirai all’inizio di una relazione d’amore, così ha acquistato un periodare particolarmente positivo.
Sembra che tu abbia attraversato la storia della musica contemporanea: Tom Waits, Pino Daniele, Claude Debussy, Boy George, Ennio Morricone, Tracy Chapman, fino al magnifico canto religioso Mother Of God. E così? Perché hai scelto questi autori?
Il brano di Tom Waits era d’obbligo, essendo il brano che ci aveva fatti incontrare. Enrico ed io siamo grandi appassionati di Ennio Morricone. Quando morì mio padre, ho perfino disperse le sue ceneri sulle note di The Mission, una delle composizioni da lui preferite. Abbiamo deciso, perciò, di prendere il tema di «C’era una volta in America» e dargli la forma di una canzone (Love Is A Pain) così scrissi il testo, ispirato stavolta alla fine di una relazione amorosa. Abbiamo deciso di fare una cover di Pino Daniele, Alleria, perché entrambi amiamo Pino e volevamo dedicargli un tributo. Quasi in contrapposizione con quanto avvenuto quando ho partecipato alla scrittura ed alla registrazione di «Illumination» e «Migratory Birds» era un periodo particolare, perché ponevo fine a venticinque anni di matrimonio e per questo i brani sono velati dalla tristezza. Nell’arrangiamento di Enrico di «Migratory Birds» puoi persino immaginare gli uccelli librarsi e scendere in picchiata prima di migrare! Boy George è un mio caro amico da anni (fin dagli anni 80) ed ha scritto un inedito proprio per questo progetto. Il suo brano sembra quasi uscire da «Porgy And Bess». Scrissi Mother of God a Roma la stessa note di Love is Pain e non è un canto religioso come può sembrare all’inizio. Non sono credente, sono spirituale. Parla di una persona che giace nella tromba delle scale e mentre muore in seguito ad una ferita d’arma da fuoco, chiede : «Madre di Dio. Dov’eri quando ne avevo più bisogno? ». Parla dei momenti più solitari e drammatici della nostra vita.
Gli ospiti sono molto importanti: come li hai scelti?
Dominic Miller non è stato un ospite: è stato parte integrante ed ha suonato per tutto il disco esattamente come me. E’ lui il mio braccio destro. Danilo Rea ed io lavoriamo insieme ogni anno, soprattutto durante il periodo natalizio ed abbiamo chiesto la sua partecipazione, perché in passato ha collaborato con Pino Daniele; ho pensato, perciò, che fosse la persona più adatta per suonare il pianoforte. Enrico ha pensato di chiamare Fabrizio Bosso alla tromba, ed è stata un ottima scelta. Ian Shaw è un mio caro amico ed insieme, in una note abbiamo preteso di essere un intero coro Gospel ed abbiamo registrato le nostre voci su Mother of God talmente tante volte da suonare come una moltitudine di cantanti.
Rispetto ai tuoi lavori discografici precedenti, sembra chiaro che tu abbia intrapreso una via diversa: è questa la direzione che vuoi dare alla tua musica?
Ogni disco mi richiede qualcosa di diverso. Non sto cambiando direzione sto solo continuando il mio viaggio musicale.
Quali sono i tuoi progetti adesso?
L’idea è quella di pubblicare questo disco su territori diversi e con tempi diversi, prima l’Italia, dove abbiamo deciso di promuovere il disco con seminari sul tema, lavorando con le orchestre locali e quelle giovanili di modo da espandere gli orizzonti del mondo del violoncello.
Stai già pensando al prossimo album?
Sto scrivendo due nuovi dischi insieme a Dominic Miller e Tony Remy: sono veramente ispirata. Parteciperò ad un film il prossimo anno nella parte di una cantante di strada cieca, davvero eccitante!
Come hai iniziato e cosa ti ha spinto a diventare una musicista?
Ho studiato da attrice ed sono finita per caso a fare la cantante. Nella mia vita non ho mai preso lezioni e dipendo totalmente dal mio orecchio. Ciò mi rende libera di fare cose che altri non oserebbero, perché non c’è nessuna voce dentro di me che mi dice «Tu non puoi fare questo!».
Quanto tempo dedichi alla tua voce? Quanto ti eserciti e quanto studi?
Non ho mai preso una lezione di musica in vita mia, perciò non ho preso nemmeno lezioni di canto, sono completamente autodidatta. Non mi esercito, salgo solo sul palco e canto.
Quando componi quale strumento utilizzi?
Compongo con il mio cellulare, con la mia voce e con le mie parole.
C’è qualcosa del tuo passato che rinnegheresti?
Non guardo indietro e non ho rimpianti: tutto fa parte del mio viaggio!
Un musicista con cui vorresti collaborare…
Troppi da menzionare e troppi ancora da incontrare.
Alceste Ayroldi