“30 notti all’alba” è il nuovo romanzo psicologico dell’autrice campana Antonia Calabrese che offre un finale imprevedibile.
“30 notti all’alba” è il quarto romanzo dell’autrice, opera narrativa che tocca svariati elementi di tipo sociale ed emotivo, e in cui i diversi punti di vista dei vari personaggi sono scandagliati fino all’imprevedibile finale.
SINOSSI
La storia narrata in “30 notti all’alba” si svolge principalmente tra Siracusa e Matera e poggia sull’ipotesi che il tema della procreazione sarà centrale negli anni quaranta del duemila per via del forte calo demografico.
La questione dell’asessualità come orientamento di una parte della popolazione e l’accettazione di essa come realtà emotiva avente lo stesso valore nelle questioni d’identità di genere non è ancora assurta a dibattito sulle differenti sensibilità individuali in rapporto alla società.
In una Italia, in cui le distanze sono raccorciate dal progresso tecnologico, il ruolo della donna rimane accessorio rispetto al sistema. L’essere umano, se e in quanto femmina, secondo radicati stereotipi non può sfuggire al suo destino: matrimonio e procreazione. L’autrice immagina quindi un immediato futuro in cui l’orientamento asessuale sarà, oltre che maggiormente diffuso, largamente osteggiato per ragioni di rilevanza sociale.
In questo contesto, a partire da un incidente automobilistico in cui rimane illesa, Tecla, ventunenne intelligente e attraente, ma di indole pudica, soffre di vertigini e improvvisi episodi di cecità. All’analisi obiettiva risulta del tutto sana, per cui passa le sue giornate fra sedute di psicanalisi e una vita insoddisfacente, angosciata dall’insistente ossessione di Berto nei suoi confronti. Per decisione familiare dovrebbe sposarlo, cosa che lei rifiuta e che la porta a sentirsi vittima di un’insostenibile coercizione. Costretta ad astenersi dal lavoro di restauratrice che ama molto è spalleggiata dalla sorellastra Vanessa ma incompresa dal padre che pretende obbedienza. Trattata come un caso patologico, non tanto per la malattia di cui è vittima quanto per la sua inaccettabile indole emotiva, soffocata dall’ottusità dei parenti, da stalking e pregiudizi, Tecla avrà modo di sperimentare che “viviamo in due dimensioni diverse, quello che siamo e quello che avremmo potuto essere”.
«È un romanzo che definirei “un rosa al contrario”, nel senso che mentre la maggior parte delle storie romantiche vanno dall’indifferenza all’amore, talvolta alla passione più sfrenata, quella che racconto va dall’amicizia e dall’affetto iniziale alla disaffezione. La vicenda ipotizza che nel secondo ventennio del duemila una sorta di “controrivoluzione sessuale” giovanile, potrebbe percorrere l’Europa, e la protagonista, Tecla, ne è un esempio. Se fino a qualche decennio passato era dibattuta la volontà, o meno, di arrivare vergini al matrimonio, ora il tema controverso troverebbe dibattito nella scelta personale di chi preferisce l’astinenza. Quando il diritto alla propria diversità, in questo caso l’asessualità, è considerato di secondaria importanza rispetto alla normalità, ovvero alle aspettative della comunità, ecco che inizia il dramma umano e il “diverso” diventa un caso patologico» afferma l’autrice.
Con chiaro in mente il presupposto che ogni individuo è una realtà a sé stante, unico nel suo genere, nella stesura di questa storia la natura dei personaggi è stata esplorata e ognuno di essi trova spazio per rivelare le proprie interiorità, amarezze, ricordi e desideri.
È difficile classificare “30 notti all’alba” all’interno di un filone letterario prestabilito, come del resto i precedenti romanzi di Antonia Calabrese, ma presenta alcuni punti in comune con il “new italian epic”.