IL CRISTO IN GOLA, il nuovo film di Antonio Rezza, verrà proiettato in Selezione Ufficiale Fuori Concorso al 40° Torino Film Festival, venerdì 25 novembre alle ore 21.30 nel Multisala Cinema Massimo di Torino. Le riprese sono iniziate nel 2004 e si sono protratte nel tempo.
L’approccio alla figura del Nazareno è estremamente rispettoso. Il figlio di Dio non dice una parola, non si rapporta all’uomo che gli è inferiore, comunica solamente attraverso urla devastanti, perdizione dell’orecchio umano, che conducono le orecchie dell’uomo alla dannazione eterna. Un ruolo centrale è affidato alla Madonna, che segue il figlio durante la sofferenza terrena.
Il Nazareno ci appare spesso urlante e trasversale, riverso sulle ginocchia di Maria che lo sostiene malinconica. Un Cristo iconograficamente già morto, che assale la vita e si smarrisce, che fa miracoli con la sola forza della disperazione: abbiamo l’uomo comune che si contorce sotto il peso della deformazione fisica e della tradizione, e un Cristo che lo guarisce senza toccarlo, con appena l’assillo delle urla rivolte al Padre Eterno che gravita nei cieli.
La vicenda si alterna tra pianti, strilli, incontri con un demonio fuori da ogni schema e sacrifici con il martello in mano, con la sega e con la pialla. Il lavoro del Cristo è farsi la croce da solo poiché ogni uomo va a finire sulla croce sua. Come autore involontario Rezza sottolinea la precisa esattezza filologica del racconto nella parte iniziale.Il film è narrativo fino al battesimo del Cristo interpretato. Poi deriva verso luoghi ignoti, sfugge di mano, è come se il corpo, facendo irruzione nel racconto, strappi l’opera all’autore che l’opera controlla.
Faccio un Cristo che non dice una parola, si tappa la bocca e la tappa al suo autore pezzente. Mai sarò così meschino da raccontare con la mente malata ciò che il corpo alla mente ha sottratto, e cioè il significato: i miei gesti hanno tolto di mano il sapere al cervello imbroglione.
Qui il problema non è il comunicare, qui la virtù sta nel fatto che quello che volevo dire non l’ho detto: l’azione si è ribellata alle suggestioni della mente incravattata.
Ho scritto molte cose da mettere in bocca al figlio di Dio.
Ma nell’esatto momento in cui il corpo si è staccato dal volere dell’autore gerarca per interpretare il sapere della carne, lì, con la pietra che scotta, la luce che acceca e con le membra indolenzite da posture innaturali, mi sono liberato dello stupido significato che il pensiero accattone voleva imporre al costato.
Io, simile al Cristo nel dolore della pelle, ho iniziato a strillare per non fermarmi più. E l’autore ha chinato il capo a me stesso.
Le urla che invadono il film possono dare il fianco a molteplici interpretazioni. Ma non è questo il caso, io non abbasso la carotide all’infimo livello che il volere le imporrebbe. E’un punto ormai di non ritorno, è una comunicazione che non sollecita il pensiero. Il pensiero, così impiccato dall’intendere padrone. Il film è filologico fin quando lo dirigo: Maria che partorisce, Giuseppe che sonnecchia, l’Arcangelo proclama, Erode manomette, Battista che sciacquetta. Il film è filologico fin quando lo dirigo. Ma quando mi dirigo mi scappa dalle mani perché io, oltre a quella di Dio, non riconosco neppure la parola mia.