Pupa e Orlando raccontano la loro vita da cantastorie, lei prostituta e martire, lui ladro e pappone mendicante; sempre in rivolta e alla ricerca di una svolta che sarà la prossima strada, quella più misera e desolata che non conosce redenzione ma solo la sentenza del più forte. Foemina Ridens è il penultimo testo, forse il più intimo, di Giuseppe Fava, messo a tacere dalla mafia il 5 gennaio 1984, proprio di fronte al suo teatro.
Capovolgendo il paradigma esistenziale di Adamo creatura divina ed Eva inventata da una sua costola, “Foemina Ridens” è la storia dell’essere umano donna e del suo compagno maschio, lei creatura tragica e lui inguaribile mistificatore, fino all’attimo dell’identificazione finale.
Se dovessi far rappresentare un lavoro teatrale in cui ci fossero parti di donna, esigerei che queste parti fossero interpretate da giovinetti. Scissa dalla propria materia, epurata, la femminilità diviene un segno araldico, una cifra. Finché restava naturale, il blasone femminile rimaneva invischiato nella donna. Spiritualizzato, esso diventa una categoria dell’immaginazione, uno schema organizzatore delle fantasticherie: tutto può esser donna, un fiore, una bestia, un calamaio. (Jean Genet)
La scelta di far interpretare Pupa ad un attore vuole celebrare la femminilità in quanto segno, servendosi della materia maschile per innalzare la donna a simbolo, quindi far dialogare la profondità e la raffinatezza del gioco teatrale di Genet con il coraggio inesorabile di Fava che ci richiama alla lotta, senza la quale la vita non è più.