Sociologi all’opera di Maria Ronca

Scoppiano i casi di famiglie disagiate in condizioni disumane e un sociologo o ogni altro professionista, non può non sentirsi chiamato in causa nel denunciare uno sfacelo del servizio sociale che non interviene prima degli eventi.

Abbiamo anni di ritardi e rimandi che non è più possibile perpetrare. Il sociale è ferma ad una legge applicata in parte, l. 328/2000. Allontanamenti discriminati e famiglie completamente abbandonate a se stesse. Alcune storie si somigliano, altre un po’ meno. I bambini in mezzo.

In ogni storia c’è un pre e un dopo. Di tante storie abbiamo sentore di ciò che avviene e non si interviene. I servizi sociali presi da altre emergenze o carenze di personale sembrano zoppi e lenti ad intercettare e ad esaminare l’umanità che sopravvive. Chi non fa report non fa progettazione ad hoc. Chi non lavora dentro le cose, non le conosce.

I percorsi di recupero sono lunghi e variano da caso a caso. A volte, si tratta di separazioni conflittuali, a volte, di povertà. Ma in molti casi, segnalati, non si interviene in continuità e si limitano a stanziare contributi e non percorsi intra-familiari. Molte situazioni si potrebbero far rientrare con le giuste accortezze e interventi recuperativi. Le visite domiciliari diventano l’occasione per operare nel quotidiano e nelle difficoltà immediate, senza arrivare sempre e solo al culmine di una lite o di una situazione estrema. Occorre attivare percorsi di accompagnamento e di sostegno con l’aiuto concreto di un’équipe che opera con la famiglia, per il recupero della genitorialità e della responsabilità della cura e della crescita dei propri figli. Si richiede: operatività sul campo e assistenza diretta. Non assistenza a distanza.

Il terzo settore viaggia alla velocità di un asino. Mi perdoni l’asino.

Ma l’aver delegato a gente che lavora a progetto o “a singhiozzo” ha generato solo occupazione a tempo. È il tempo è un alleato per chi opera nel sociale e a stretto contatto con le famiglie. Un caso è un nucleo familiare con tanti componenti e tante personalità. I fattori da considerare molteplici e in continua evoluzione. Il dramma è che i processi sono lunghi e l’iter socio-giudiziale sbilanciato.

L’avvocato interviene senza figure di riferimento cristallizzate nel tempo, a richiesta, intatto le famiglie che si caricano di aspettative vengono lasciate a se stesse con disagi psicologici e di responsabilità non condivise e le soluzioni dilatate nel tempo massimo.

Chi si prende carico della famiglia? Chi mantiene i rapporti intra-familiari? Chi visiona che va tutto bene? Chi accompagna la famiglia, a riprendere i ruoli, a porre le condizioni di conciliazione, di dignità a chi ha perso il lavoro. Chi non ha più voglia di vivere è perché non trova lavoro e scoraggiato finisce nella depressione e nel degrado. Chi si prende cura di tanta umanità?

Credetemi! In molti casi, non è mancanza di forza di volontà, ma di un sistema che mal gestisce il problema dall’inizio alla fine.

Qualcosa si rompe nella catena delle professionalità mancate e delle risorse esigue.

Parliamo del lavoro che manca, del lavoro nero, delle condizioni disumane ad accettare un lavoro.

Alla deprivazione ti abitui o la subisci?

Parliamo delle depressioni, delle dipendenze affettive, degli abusi e dei maltrattamenti, dell’abuso di alcol e droga, del gioco d’azzardo e dei meccanismi di sbarramento all’autodeterminazione.

Parliamo sempre del degrado, ma ci occupiamo del degrado, dei quartieri popolari, dei minori, dei servizi del doposcuola, delle cure e delle terapie d’amore e d’affetto da ripristinare nella famiglia che seguiamo.

Solitudine intorno, nei luoghi e nel cuore. Anime svuotate di sentimenti alla mercé della loro deprivazione materiale e spirituale, in lotta con la vita.

Abbandono degli ultimi in quartieri dormitorio, case fatiscenti, vite spezzate senza speranza.

Dove sono i sociologi, gli educatori, gli assistenti sociali? Sparpagliati in settori altri perché non riconosciuti, come interlocutori e anelli di congiunzione, in attesa di un contratto stabile, nei luoghi non deputati al servizio sociale. Ritornino in mezzo alla gente, a dare concretezza all’inclusione e alla solidarietà, ci siano più operai che sovrastrutture. Il risultato di tanti servizi affidati senza coordinamento e senza riscontri positivi allontanano dai veri problemi. Troppi intermediari. Solo decreti di allontanamento, come unica soluzione al vuoto che avanza.

Mi spiace, avete fallito. Il sociale non ha più connotazione di presa in carico, ma di recettori di bisogni e servizi inconcludenti.

Le persone le avete etichettate, come utenti e sono inglobati in un servizio che al massimo che gli potete offrire: è il rischio di vedersi sottrarre i figli.

Le case famiglie le abbiamo trasformate in orfanotrofi, dimenticando che questi bambini e ragazzi non sono orfani, sono figli di una società malata e non attenta ai cambiamenti di un ventennio senza rete e senza umanità.