“Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli” di Marco Termenana, cioè il libro uscito agli inizi di questa estate, è risultato finalista alla ottava edizione del Premio Internazionale di Letteratura “Giovanni Bertacchi”, per la sezione volumi editi.
Per questo viene presentato dallo stesso autore a Sondrio, domenica 17 ottobre p. v., h. 15, presso la Sala Fabio Besta della Banca Popolare di Sondrio, in Piazza Garibaldi.
Il Concorso “Giovanni Bertacchi” nasce nel 2013, da un’idea del Dottor Massimiliano Greco che ne è tuttora il Direttore Generale. In questi anni il Premio ha acquisito sempre più rilevanza e prestigio, coinvolgendo importanti personalità del mondo letterario e culturale e ottenendo importanti riconoscimenti anche dai principali canali letterari, che lo ritengono uno dei più importanti concorsi internazionali di poesia e narrativa. Il Presidente della Commissione Scientifica è il Dottor Antonio Muraca che coordina le due giurie presiedute dalla Dottoressa Marina Mattei (Curatrice dei musei capitolini di Roma) e dal Dottor Mario De Rosa (Presidente dell’Associazione Orion e Presidente del Premio internazionale, Morano città d’arte).
Per “Mio figlio“, invece, questo riconoscimento segue a distanza di qualche settimana quello ricevuto il 2 ottobre u. s. al “Premio Montefiore” e quello conseguito a La Spezia il 10 ottobre u. s., con il Premio “Il Sigillo di Dante” dove si è classificato quinto. A loro volta, questi riconoscimenti hanno fatto seguito a quello conseguito il 5 luglio u. s. al “Premio Riviera Laurence Olivier e Vivien Leigh” a Bardolino, in provincia di Verona, dove gli è stato assegnato il secondo posto.
Quattro riconoscimenti in quattro mesi… L’autore è un astro nascente della letteratura?
Con lo pseudonimo di El Grinta, sullo stesso argomento, ha già pubblicato GIUSEPPE nel 2016.
I romanzi sono ispirati al suicidio realmente accaduto nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 2014 a Milano, città in cui vive, di Giuseppe, il figlio all’epoca ventunenne (il primo di tre), quando cioè apre la finestra della sua camera, all’ottavo piano di un palazzo, e si lancia nel vuoto.
Si racconta il mal di vivere di un essere che si è sentito sin dall’adolescenza intrappolato nel proprio corpo e, infatti, è anche la storia di Noemi, alter ego femminile che assume contorni definiti nella vita dei genitori solo nel momento in cui si toglie la vita.
Tragedia non solo di mancata transessualità ma anche di mortale isolamento, al secolo hikikomori.
Già è stato scritto che non si tratta di una sdolcinata storia finita male che commuove i critici delle Giure, ma di una cronaca – dettagliata e ben raccontata – della lotta incessante di un padre all’incomunicabilità tra genitori e figli durata l’arco della breve vita di Giuseppe e narrata a ritroso a partire dalla notte maledetta.
L’autore, quindi, potrà anche essere o non essere un astro nascente della letteratura ma forse il segreto del successo del libro giace qui ed è questo semplice principio che dovrebbe far riflettere fino a spiegare tutto: il desiderio di tutti noi di rivedersi e ritrovarsi nel racconto senza veli di quello che siamo nei nostri insuccessi, in particolare in ciò che ci sta più a cuore e cioè il rapporto con i nostri figli, e di cui spesso non abbiamo il coraggio di parlare. Tema trasversale anche per docenti, psicologi, dirigenti scolastici, educatori in senso lato, oltre che per gli stessi figli, insomma tutti i membri della “filiera” educativa. Ma, soprattutto, visto l’interesse che i ragazzi mostrano per Giuseppe identificandosi in tratti o in tutta la sua storia, ci auguriamo che “Mio figlio” diventi presto una lettura autonoma suggerita per quanti più studenti è possibile a partire dalle medie.
Non astro nascente, dunque, ma testimone inconsapevole di un libro fortemente educativo che concorre a colmare un vuoto dei nostri tempi?
Ce lo dirà la storia.