Vittorio Brambilla era più di un pilota. Era l’emblema di un modo naïf e appassionato di affrontare le competizioni, come si fa con gli amici al bar ma partecipando solo per vincere. Tutto ha inizio nel Garage di via della Birona, dove il ragazzo brianzolo lavorava nell’officina del padre Carlo. Proprio dall’ambiente famigliare il giovane eredita la passione per i motori. Una famiglia dedita allo sport, infatti anche il fratello Tino esordì nel motomondiale in classe 350 nel 1959, un anno dopo Vittorio. Dopo il debutto nel 1958 nel motociclismo, si impone nel campionato cadetti 175, continuando la gavetta all’ombra del fratello. Proprio in quegli anni “the Monza Gorilla” (così era definito dai media britannici), acquista un Kart con cui si affinò nel mondo delle quattro ruote, contando una partecipazione al motomondiale della classe 500 in occasione del Gran Premio motociclistico delle Nazioni 1969, guidando una Paton. L’esperienza acquisita col Kart ed il passaggio del fratello alla Formula 2 sono da stimolo per approdare in Formula 3, conquistando qualche anno dopo il campionato italiano alla guida di una Brabham motorizzata Ford e di una Birel-Alfa Romeo. Correva l’anno 1972 e Vittorio arriva in Formula 2 al volante di una March 712, monoposto che solitamente guidava il fratello. Forte dell’esperienza su ruote scoperte e grazie agli ottimi esiti della stagione conclusa, arrivò il sostegno di Beta Utensili per acquistare la nuova March 732-BMW, ottenendo risultati sempre più sorprendenti, culminati con due vittorie a fine stagione a Salzburgring e ad Albi, in Francia. All’epoca l’Europeo di Formula 2 era un campionato prestigioso e il monzese che correva privatamente (aveva a disposizione un solo meccanico nel suo team), riuscì ad ottenere dei risultati brillanti, data la modestia dei mezzi disponibili. Le vittorie in Austria e nel sud della Francia portarono il pilota in seconda posizione nella classifica (che poi divenne quarta poiché il regolamento in vigore dovette scartare i 9 punti conquistati in Austria) ma ottenne comunque il prestigioso premio di “Casco d’oro” dalla rivista Autosprint. Seguirono anni di successo per “Il Vittorio”. Si ricordano le 4 ore di Monza del ’73 alla guida di una BMW 635 con i rivali Lauda e Stewart e l’incontro con Enzo Ferrari. Brambilla, che sperava di poter esordire in Formula 1, si era recato dal Commendatore a Maranello ma questi, pur ritenendo il monzese un pilota di talento, rifiutò in quanto aveva già varato un progetto con Lauda e Regazzoni. Grazie ai risultati ottenuti, nel 1974 riuscì comunque ad attirare l’attenzione della famiglia Ciceri, proprietaria di Beta Utensili, facendo così l’esordio nella massima serie a bordo di una March della squadra ufficiale. L’anno successivo sarà sicuramente l’anno migliore per Vittorio, costellato di pole position e la vittoria al Gran Premio d’Austria (ricordata anche per la scomparsa di Mark Donohue a causa dello scoppio di una gomma durante il warm-up). La gara venne interrotta a causa del maltempo prima che fosse coperta almeno il 75% della distanza totale e per questo, in base al regolamento, gli venne assegnata la metà dei punti. Sotto il traguardo Brambilla, in preda all’euforia per la vittoria, alzò entrambe le braccia per festeggiare e perse il controllo della monoposto, distruggendo il musetto che per molti anni venne usato come “trofeo” nell’officina di famiglia a ricordo della sua unica vittoria. Nel 1977 approda nel team Surtees e collabora anche con Alfa Romeo in qualità di collaudatore, facendo progredire alcuni prototipi. Il 1978 è contrassegnato dal grave incidente avvenuto nella sua città natale, durante il Gran Premio d’Italia, rimanendo gravemente ferito nello stesso incidente che costò la vita al collega Peterson. Tornò a correre l’anno successivo con l’Alfa Romeo fino al 1980, quando annunciò il ritiro alla fine della stagione. Morì d’infarto nel maggio del 2001, lontano dal rombo dei motori che ha sempre accompagnato la sua vita, sin da bambino. Un uomo determinato che partendo da zero si è fatto strada fino ad approdare in Formula 1. Adesso non c’è più “Il del Bar degli stupidi” ma resta il ricordo di un monzese che amava le sfide, con la determinazione che solo un pilota che ha fatto la gavetta poteva avere. Un uomo che ha saputo emozionare gli appassionati di motori di tutto il mondo, tanto più nel tracciato della sua terra natia. È bello ricordarlo così, ad ottant’anni dalla sua nascita, un pilota capace di emozionare e far sognare una generazione che per imitare il rombo della Guzzi V7 sport metteva una cartolina tra i raggi della bicicletta. Un uomo semplice ed un pilota straordinario.
Davide Esposito
Davide Esposito