Dal 26 giugno al 1 luglio 2017, il gruppo di Non me la racconti giusta ha fatto tappa presso la Casa circondariale di Rimini vivendo un’intensa settimana e portando a casa un nuovo bagaglio di esperienze. Non me la racconti giusta è un progetto nato nel 2016 grazie alla collaborazione tra il magazine di arte e cultura contemporanea ziguline, gli artisti Collettivo Fx e Nemo’s, e il fotografo e videomaker Antonio Sena. L’arte si mette a disposizione di un progetto sociale che vuole aprire una finestra sulla dimensione carcere e far conoscere questa realtà all’esterno, nella speranza di abbattere il muro di pregiudizi che caratterizzano questo luogo, conosciuto da pochi ma che ci riguarda tutti profondamente.
Dopo una prima tappa nella Casa circondariale di Ariano Irpino, nella quale il gruppo ha lavorato con 7 detenuti a un murale raffigurante Ulisse, e una seconda tappa nella Casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, nella quale la rappresentazione di un Totò alato è stata resa possibile grazie al lavoro degli artisti con 10 detenuti, NMLRG è approdato nella Casa circondariale di Rimini. Questo importante appuntamento è stato reso possibile grazie al sostegno di diverse realtà, tra queste l’Associazione Il Palloncino Rosso, e in particolare Jessica Valentini e Daniele Pagnoni, e ancora Antonio Libutti, docente e videomaker che si è fatto carico delle incombenze burocratiche, gli sponsor e, infine, tutto il personale del carcere.
Due grandi novità hanno riguardato questa nuova esperienza, la collaborazione con Filippo Mozone, artista riminese che ha lavorato con Collettivo Fx e Nemo’s, e la divisione del progetto in due laboratori con due differenti sezioni, Andromeda e Vega. Il metodo di lavoro è rimasto invariato, ovvero un iniziale tavolo di discussione sul quale il gruppo di NMLRG ha posto tematiche, problematiche e altre interessanti argomentazioni da sviluppare e tradurre in immagini.
Il lavoro all’interno della Sezione Vega ha rappresentato un momento molto importante dove il gruppo ha avuto l’opportunità di lavorare con due detenute transessuali, Martina e Antonella, le quali ci hanno aperto le porte della loro particolare condizione all’interno del carcere italiano che non è affatto preparato alle esigenze della comunità transessuale. Dopo un potente brainstorming, in cui sono emerse le problematiche dell’essere donna all’interno di un corpo maschile e fare una scelta naturale, ovvero “modificare” il proprio aspetto per somigliare alla propria idea di sé, e quelle legate all’essere donne isolate all’interno di un carcere maschile, abbiamo deciso di dipingere “L’Angelo incarnato” di Michelangelo.
Questo angelo rappresenta bene la condizione delle due detenute nel carcere e probabilmente di tutta la comunità, infatti, le sembianze, lo sguardo e il contesto di questo dipinto richiamano l’ambiguità della regolamentazione delle donne trans nel carcere. L’immagine, infatti, raffigura un personaggio dalla sessualità ambigua, vista la compresenza di un pene in erezione e di un torso femminile con il seno in evidenza.
Il volto de “L’Angelo incarnato” è sornione e sembra sbeffeggiare lo spettatore. Si tratta di un ermafrodita e, in quanto tale, risulta interessante il parallelismo tra l’ambiguità della gestione delle detenute transessuali in Italia, e il corpo e la sessualità di questo angelo e delle nostre ragazze.
La seconda parte del progetto è stata altrettanto interessante, infatti, abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con i ragazzi della Sezione Andromeda, ovvero quella che ospita detenuti tossicodipendenti in fase di riabilitazione. Andromeda è una sezione speciale, in quanto situata al di fuori delle mura di cinta del carcere, inoltre, i detenuti al suo interno godono di un regime rieducativo speciale che gli consente di vivere come in una vera e propria comunità, in cui ognuno di loro ricopre un ruolo con dei compiti precisi che cambiano di settimana in settimana. Giuseppe, Angelo, Denny, Vittorio, Antonio, Federico, “Volpi”, Jimmy, Salvatore e Carlo hanno lavorato con Nemo’s, Collettivo Fx e Mozone alla rappresentazione del mito di Andromeda che casualmente ricorda un po’ la loro condizione nel carcere.
Andromeda era figlia di Cefeo e di Cassiopea, la quale per vanità osò dichiarare di essere più bella finanche delle Nereidi, ninfe marine conosciute per la loro impressionante grazia. Una di queste, Anfitrite, era la sposa del re del mare Poseidone, a cui chiese di punire Cassiopea, il quale inviò un mostro marino, Ceto, a devastare le coste del regno di Cefeo. Per arrestare la furia del mostro marino, l’oracolo Ammone suggerì a Cefeo e Cassiopea di sacrificare la vita della bella Andromeda. La ragazza era incatenata a uno scoglio, in procinto di essere divorata dal mostro ma, in quel momento, si trovava a passare da quelle parti l’eroe Perseo, in groppa al suo cavallo alato, Pegaso, di ritorno dall’impresa che lo aveva portato alla decapitazione della Medusa. Perseo, attirato da quella figura che inizialmente sembrava una statua, si trovò di fronte Andromeda che interrogò sul perché si trovasse incatenata a uno scoglio, lei per umiltà inizialmente non rispose ma poi raccontò le sue sventure. Poco prima di essere divorata dal mostro, Andromeda volo via tra le braccia di Perseo, di cui divenne sposa.
Ai detenuti della sezione Andromeda questa storia è piaciuta, così come la metafora tra la loro condizione e quella di Andromeda, entrambi finiti nei guai per un “errore”, entrambi in attesa di un aiuto. Il disegno dai toni pulp si trova all’interno della sezione ed è stato un lavoro importante che ha coinvolto tutti. Tra caffè, torte e fette di melone, i detenuti hanno accolto il gruppo di NMLRG con entusiasmo.
Come per le altre due tappe, anche a Rimini l’esperienza è stata forte, intensa e appagante. NLRG ha sconvolto la quotidianità dei detenuti con un progetto culturale, li ha coinvolti attivamente nelle decisioni, ha offerto spunti di riflessione e stimoli, ha raccolto testimonianze, sia da parte loro che del personale del carcere, evidenziando anche questa volta enormi difficoltà nella gestione di un luogo così lontano e così vicino al mondo esterno.
Attualmente il carcere è un argomento relegato ai margini del dibattito sociale e il fine ultimo che si propone questo progetto è coinvolgere attivamente l’opinione pubblica per superare i pregiudizi e capire insieme come questo luogo-non-luogo possa assolvere alla sua funzione riabilitativa e non meramente punitiva.
Il progetto Non me la racconti giusta continua nei prossimi mesi a Palermo e Napoli.