Per il settimo e penultimo appuntamento della Primavera musicale della Nuova Scarlatti, venerdì 23 giugno 2017, ore 19.30, nella cornice preziosa della Chiesa dei SS. San Marcellino e Festo (Largo San Marcellino, n. 10, Napoli), torna (dopo l’anteprima del 13 aprile scorso) il Quartetto d’archi ‘Mitja’, giovane eccellenza artistica in ascesa che miete crescenti consensi in campo nazionale e internazionale, tra rassegne, festival e premi prestigiosi, ed è nata e cresciuta in seno alla Nuova Orchestra Scarlatti.
Per l’occasione il ‘Mitja’, attualmente composto da Giorgiana Strazzullo e Sergio Martinoli (violini), Carmine Caniani (viola), Veronica Fabbri (violoncello), propone un confronto inedito e particolarmente succoso tra due capolavori del genere quartettistico: il Quartetto in mi minore di Giuseppe Verdi (composto proprio a Napoli nel 1873), dove l’impeccabile contrappunto strumentale risuona avvincente come un grande concertato d’opera, e il Quartetto op. 74 “Delle arpe” di Ludwig van Beethoven, una pagina del 1809, oasi luminosa che segna il passaggio dalla fase degli eroici contrasti a un nuovo, affascinante paesaggio sonoro, mosso da fremiti e suggestive anticipazioni.
Costo del biglietto del concerto del 23 giugno: € 10,00, acquistabile presso le prevendite abituali, on line: www.azzurroservice.net, e presso la sede del concerto da un’ora prima dell’inizio.
L’unico capolavoro cameristico di Giuseppe Verdi, il Quartetto in mi minore, nasce in un albergo di Napoli nel marzo del 1873 (durante l’ozio forzato tra le rappresentazioni di un Don Carlo e le prove di un’Aida). Qui un raffinato linguaggio strumentale si fonde con gli accenti del grande uomo di scena: ecco l’incipit scuro e avvolgente in quarta corda del secondo violino nell’Allegro iniziale (che evoca il tema della gelosia di Amneris in Aida); l’Andantino si apre con un ritmo di valzerino di una grazia svagata e decadente; l’alato spirito mendelssohniano del Prestissimo, con il violoncello che canta come un nobile baritono nel Trio centrale, ci conduce allo Scherzo Fuga finale, uno scintillante contrappunto in cui già ci sembrerà di udire, con vent’anni d’anticipo, il chiacchiericcio di Falstaff.
Fra l’estate e l’autunno del 1809 (proprio mentre un’Europa squassata prova a scendere a patti con Napoleone), nel Quartetto in mi bemolle maggiore op. 74 Beethoven stipula una tregua con la sua stagione eroica: dopo il breve Poco adagio, amabile e introverso, accordi improvvisi portano allo scorrevole e spensierato Allegro, punteggiato a un tratto dagli arpeggi pizzicati degli archi (che giustificano l’appellativo di Harfenquartett). Il successivo Adagio ma non troppo è una di quelle preghiere beethoveniane che dall’anima salgono direttamente alla Divinità. Il vorticoso, splendido Presto, già tutto mendelssohniano, porta al semplice Allegretto, “un campione di sottoproletariato melodico” (M. Mila) riscattato dal gioco ‘strutturalista’ delle sue variazioni.