Mercoledì 22 ottobre si è tenuta, presso la Biblioteca Benedetto Croce di Napoli (Vomero), a cura del prof. Bruno Pezzella, una interessante conferenza sugli anni napoletani di Giacomo Leopardi. Conferenziere Antonio Filippetti (scrittore, critico, saggista e giornalista italiano), con la partecipazione di Carlo Di Lieto (ordinario di Italiano e Storia nei Licei, autore fra l’altro di Leopardi e il “mal di Napoli” (1833-1837), reading l’attore Aldo spina[1], commento musicale di Rosario Ruggiero (pianista). Le riunioni culturali all’Apeiron (da un’idea di Bruno Pezzella), non sono una novità per quanto riguarda la parte culturale della società vomerese e trattano di musica, di filosofia, di psicologia, di letteratura, di diversità e di didattica. Didattica che si esplica anche in un locale, appunto la biblioteca, che è sempre affollata da giovani studenti di ambo i sessi ed accomuna gli interessi svariati in merito ad ogni attività capace di allargare gli orizzonti di studio degli stessi.
Un luogo “vivo”, dunque, dove si tenta di fare sì che la cultura, addomesticata e potremo dire anestetizzata e gessata, non prenda il posto di quella che è in grado di interessare i nostri giovani di ogni luogo, quella stessa che, purtroppo, rischia di allontanarsi sempre di più dalle aule scolastiche e farsi trovare, invece, nelle pagine del web. Si percepisce, nel corso di queste riunioni, che il pubblico presente non si trova per caso nell’aula della biblioteca, ma che, invece, vi si reca spesso ed ha quindi conseguito abitudini e attenzione.
A fare da padrini alla serata anche la V municipalità del Comune di Napoli, la RASE Napoli-Vomero, la nuova associazione culturale di promozione e diffusione del libro “Leggere è” (nata dalla storica esperienza della Libreria Loffredo), l’istituto culturale del Mezzogiorno, “Il mondo di Suk”, Cuzzolin editore e la LCA. Siamo abituati a pensare che la tomba di Giacomo Leopardi si trovi nel Parco Virgiliano di Napoli, giacché il nostro poeta morì (forse), per colera a Napoli[2], il 14 giugno del 1837 e secondo la narrazione, l’amico Antonio Ranieri riuscì con fatica ad conseguire dal Governo che la salma non fosse gettata nelle fosse comuni, com’era previsto, per legge, ma interrata separatamente. Leopardi conobbe l’amico napoletano a Firenze nel 1827, al tempo studente ventunenne, che viene descritto così da un biografo: “giovanissimo, bellissimo, aitante della persona” e con “quell’ardor giovanile dell’animo che tanto piace al bel sesso”-
Di tante certezze più o meno storicamente provate, poche emergono intatte da un indagare serio su quella che fu a Napoli ( ed anche altrove), la breve vita di Leopardi, anche per i suoi amori, così come nel corso della riunione è apparso chiaro. Altrettanto comprensibilmente non possiamo meravigliarci se, per intendere qualcosa della “vera” vita di Leopardi, occorra studio profondo visto che:-“ Leopardi era tenerissimo, gelosissimo de’ suoi segreti (…). Noi, d’altra parte, s’era sdegnosissimi di saper novelle [notizie] de’ fatti altrui, e rispettosissimi della sua libertà. E non ci avanzò altro partito [non ci rimase altra scelta] se non, ad ambedue, in generale, di astenerci da qualunque altro motto [commento] in proposito; ed a me, in particolare, di uscire costantemente dalla stanza quando qualche innominato sopravveniva“[3] Tuttavia, nel corso del convegno ci è stato tolto il bel pensiero del Virgiliano, laddove si è evidenziato che nel 1900, quando fu fatta la identificazione dei resti mortali, ci si poté rendere conto che i pochi frammenti di ossa non potevano affatto essere quelli di Leopardi. Il femore era molto più lungo di quanto ci si dovesse aspettare e, cosa non da poco, mancava il teschio. Venuta meno quindi l’idilliaca descrizione di quel Ranieri che riusciva a salvare i resti del grande poeta (pur accettando che le spoglie mortali di Leopardi esistano), possiamo considerare soltanto ipotesi. La verità ci è stata nascosta proprio da Antonio Ranieri, il quale ha fornito diverse traduzioni dei fatti. Le ricerche degli archivi hanno subito intoppi perché alcuni, importanti, sono andati distrutti. Spiegava quindi il conferenziere, avvalorato da Carlo di Lieto, che l’ipotesi più attendibile sia che il suo corpo sia finito in una delle fosse comuni dei morti per colera, come prevedeva la legge del tempo. Al venir meno dei fatti, nel corso della serata si è invece potuto riconoscere Leopardi dai suoi scritti, letti con bella inflessione e competenza da Aldo Spina. Introducendoci di volta in volta nelle fasi delle creazioni Leopardiane, i presenti sono stati anche accompagnati da commenti musicali adeguati, che hanno reso l’atmosfera ancora più consona agli argomenti di cui si parlava. In ultima analisi dobbiamo congratularci con il prof. Bruno Pezzella, autore di tanti libri, tra cui “Il sapere tra incertezza e coraggio. La conoscenza mobile”, “Un professore riflessivo. Manuale di specializzazione all’insegnamento”, “Sapere, formare”, “La fabbrica della felicità. Creare sapere condiviso e sostenibile”, e ci fermiamo qui perché l’elenco sarebbe troppo lungo. Insegnante da poco in pensione, sarà certamente indimenticato tra i suoi allievi in quanto, con la sua chioma bianca e l’anima giovane, ha portato nelle aule quello stesso spirito entusiasta con cui, con l’Apeiron, tassello per tassello cerca di condurre al Vomero personalità del mondo della cultura per parlare ed ascoltare di arte. Non dimentichiamo che il Vomero di tasselli culturali ne ha persi molti, basti pensare alla libreria Loffredo ed alla libreria Guida, ma non per questo si arrende: a luglio è nata difatti, “Io ci sto”, in via Cimarosa 20, la prima libreria d’Italia ad azionariato popolare, che ha aperto in quella che doveva essere la nuova sede della Loffredo mentre, Aricò apre in uno dei locali che prima facevano parte di Guida, in via Merliani.. Il Vomero non vuole fare a meno della cultura e “l’Apeiron” è un ulteriore
prova di questo asserto. Bianca Fasano