Il Sindaco di Ariano Irpino, Antonio Mainiero e l’Assessore all’Ambiente, Manfredi D’Amato, ribadiscono la posizione di diniego dell’Amministrazione comunale alle attività di trivellazione. Così come sottoscritto in un documento congiunto con i sindaci dei comuni di Casalbore e Montecalvo, inviato agli Assessorati all’Ambiente della Regione Campania e della Provincia di Avellino, la contrarietà del Comune di Ariano alle attività di trivellazione resta netta.
L’Ente, attraverso il deliberato di Giunta n° 71 del 20 marzo 2013 ha anche aderito al Comitato “No Petrolio” ai fini della difesa del territorio, dell’ambiente e del diritto delle popolazioni interessate all’autodeterminazione. Nel deliberato, che sarà inviato alle massime autorità, a cominciare dal Presidente della Repubblica, si evidenzia che il permesso del Ministero dello Sviluppo economico di effettuare ricerche di idrocarburi liquidi e gassosi in territorio delle province di Avellino e Benevento, comporta l’istallazione di infrastrutture specifiche in campo minerario e di reti di collegamento lungo l’intero territorio, eliminando vincoli ambientali, paesaggistici, storici e culturali nonché emettendo nell’atmosfera composti e polveri dannose per la popolazione, la flora e la fauna, che tali infrastrutture non portano benefici economici alle zone interessate in quanto eliminano le uniche attrattive turistiche esistenti e portano ad assumere mano d’opera specializzata proveniente dall’estero e dal nord Italia. Il tutto in contrasto con le linee guida dello sviluppo turistico della Regione Campania.
L’Amministrazione comunale, avendo sempre dimostrato una particolare sensibilità al tema della tutela e del rispetto dell’ambiente e del territorio, nonché della salute pubblica, ritiene doveroso “levare una nota di protesta rispetto ad una scelta scellerata della Regione che lede le potenzialità di crescita del territorio comunale e che vada comunque avviata e portata avanti insieme agli altri Comuni coinvolti, una ferma protesta”.
Tra le principali motivazioni che adducono a questa posizione l’elevata sismicità del territorio che dovrebbe essere interessato dalle attività di trivellazione, sembra, infatti, esserci un collegamento tra attività sismica e trivellazioni, così come affermato dalla ricercatrice della California State University, Maria Rita D’Orsogna.
Il Comune di Ariano, inoltre, fa propri nella loro interezza, i dieci motivi per dire “no” alle estrazioni di petrolio in Italia e quindi in Irpinia, redatte dalla stessa ricercatrice italo-americana su “Il Fatto Quotidiano”.
La prima ragione si rifà al paesaggio e al turismo. La tutela del paesaggio è uno dei punti fondamentali della Costituzione. Le trivelle non faranno altro che imbruttire il territorio ed avvelenarlo con aria di raffineria.
Il secondo motivo riguarda la qualità del petrolio. Il petrolio presente in Italia è, in generale, scadente, difficile da estrarre perché in profondità e saturo di impurità sulfuree che vanno eliminate il più vicino possibile ai punti estrattivi.
Il terzo motivo è quindi legato alle infrastrutture e ai rifiuti: pozzi, centrali di desolforazione, oleodotti, industrializzazione di aree che al momento sono quasi tutte agricole, boschive, turistiche; tutti i materiali di scarto: rifiuti tossici difficili e costosi da smaltire
La quarta ragione riguarda l’inquinamento dell’aria. Sia dai pozzi che dalle centrali di desolforazione vengono emesse sostanze nocive e dannose all’agricoltura, alle persone, agli animali: l’idrogeno solforato, ad esempio, i nitrati, gli idrocarburi policiclici aromatici, i composti organici volatili. Alcune di queste sostanze sono provatamente cancerogene.
Si passa all’inquinamento dell’acqua con la quinta ragione. Nonostante la cementificazione dei pozzi e l’utilizzo di materiale isolante negli oleodotti, queste strutture con il passare degli anni presentano cedimenti strutturali dovuti al logorio, anche piccolissime lesioni difficili da individuare che possono restare aperte per molto tempo, inquinando l’acqua del sottosuolo e danneggiando gli ecosistemi.
Il sesto punto riguarda la già menzionata questione idrogeologica e della sismicità.
L’Irpinia è a rischio sismico e a rischio idrogeologico. Le ispezioni sismiche, le trivellazioni, la re-iniezione sotterranea di materiale di scarto ad alta pressione possono alterare gli equilibri sotterranei. Così come non si conosce perfettamente la distribuzione delle falde acquifere, non si conosce perfettamente neanche quella delle faglie sismiche. Stuzzicare i delicati equilibri geologici può innescare terremoti, anche di magnitudine elevata. E’ già successo in Russia, in California, in Colorado.
Il settimo punto riguarda gli incidenti. Anche prendendo tutte le precauzioni possibili, i pozzi possono sempre avere malfunzionamenti. In Italia abbiamo avuto già esempi di scoppi o incidenti gravi con emissioni incontrollate di idrocarburi per vari giorni senza che nessuno sapesse cosa fare. Per risanare tali aree non è bastato un decennio.
La speculazione al centro dell’ottavo punto. Molte delle ditte che intendono trivellare l’Italia sono minori, o straniere, con piccoli capitali sociali. Ed in caso di incidenti, con i loro esigui capitali sociali, probabilmente non avranno le risorse per affrontare operazioni di pronto intervento, risanamento ambientale e risarcimento danni.
La nona ragione sta nei minimi benefici. Il petrolio d’Italia non farà arricchire gli italiani, o in questo caso gli irpini, non porterà lavoro, e tanto meno risolverà i problemi del bilancio energetico nazionale. Le royalties d’Italia sono basse, e la maggior parte di questo petrolio verrà venduto su mercati internazionali.
Al decimo ed ultimo punto vi è “il caso Basilicata”. In Italia c’è già una regione che è stata immolata al petrolio. E’ la Basilicata, che fornisce alla nazione circa il 7% del suo fabbisogno nazionale. Tutti i problemi elencati sopra sono realtà in Basilicata: sorgenti e laghi con acqua destinate al consumo umano inquinate da idrocarburi, declino dell’agricoltura, del turismo, petrolio finanche nel miele, aumento di malattie, mancanza di lavoro, smaltimento illegale di materiali tossici, anche nei campi agricoli. La Basilicata era la più povera regione d’Italia prima che arrivassero i petrolieri, lo è ancora oggi (dati Istat).