Di Diletta Picariello – Si concluderà mercoledì 27 febbraio la rassegna civile del Teatro “Carlo Gesualdo”di Avellino con lo spettacolo di Monica Guerritore “Mi chiedete di parlare”. E di cosa o di chi parlerà la Guerritore? Monica Guerritore salirà sul palco del Gesualdo raccontando la Fallaci, farà rivivere la giornalista più aristocratica e popolare del 900’. Lo spettacolo, intitolato “Mi chiedete di parlare…”, nasce da un’idea di Emilia Costanini ed è, in forma di immaginario confronto, una impossibile intervista a Oriana Fallaci; Monica dal canto suo si è preparata ad interpretare la Fallaci rileggendo montagne di sue parole, di interviste concesse malvolentieri perché costrette a risposte fedeli e precise, il Vietnam, Khomeini, Kissinger, l’amore e le ha assemblate, montate e smontate, rivestendole di una drammaturgia scenica. Ma perché la scelta di ridare corpo e voce alla Fallaci, una Fallaci in scena? Forse perché la Fallaci è sempre stata un personaggio teatrale di per se, per la sua fisionomia tragica. Più che un’eroina classica, la Fallaci è sempre stata un personaggio maschile che odiando la morte si è nutrito di morte; lei che si è spesa per la libertà durante tutta la sua vita, lei che ha rivoluzionato il giornalismo, lei che non era né guelfa né ghibellina, lei che è sempre stata spinta da quel palcoscenico interiore rappresentato dal dolore, lei che ha sempre detto : «sono libera», lei che viveva la solitudine come una necessità.
La scena dove Monica-Oriana si muove dà un senso di vuoto e di solitudine: le pareti aperte di una stanza-scenario di guerra dove, sotto il cellophane, sono ben visibili gli amati libri e la macchina da scrivere della giornalista; alle spalle alcuni video trasmettono ambientazioni storiche e contemporanee, atmosfere newyorkesi in cui Oriana sceglie di vivere ritirata gli ultimi periodi della malattia. Una voce registrata interroga la giornalista e fa da cornice a una partitura gestuale e di immagini che restituiscono l’essenza di un volto reso pubblico dalla pagina e sdoppiato nel mito più volte condannato o esaltato. Il coraggio di fronte alla morte, il disprezzo per l’ipocrisia, il dolore per la scomparsa dei propri cari, della madre in particolare, la lotta coraggiosa contro il cancro, il disprezzo per ogni forma di totalitarismo, il confessare un aborto e la sovraumana voglia di tornare all’esterno per pochi momenti e accorgersi che il ritmo del mondo non è cambiato: Guerritore-Fallaci punta dritto lo sguardo, si lascia sommergere da musiche che ritornano e talvolta invadono una regia che si vorrebbe più capace di progressione con conseguenze e fatti intrecciati tra una sigaretta e l’altra. La Guerritore indossa i panni di un’Oriana già consapevole di essere agli ultimi gironi della sua vita, di una donna che passa tra i tanti ricordi della sua vita, bambina nella Firenze bombardata, donna viva in un’immagine di guerra e morte. La biografia della Fallaci diventa sul palco un’opera originale, dissacrante, composta da un immenso susseguirsi di fatti e sensazioni che ci mostra il ritratto commovente di un’eterna combattente, sempre fiera e ostinata nelle sue polemiche. Si evidenziano le due anime, la Fallaci ostinata polemista e la Oriana donna, meno conosciuta per anni protetta e rintanata nel mito Fallaci; emerge alla fine una donna grande in tutto ma rabbiosa, cronista di guerra sempre in prima linea, troppo esposta e forse vittima della sua immagine. E nelle intenzioni della Guerritore, il palcoscenico assurge a luogo ideale a fare da ponte tra una donna che muore e una che prende il suo posto “voglio riprendere il suo respiro per capire”. Alla fine la Guerritore-Fallaci impolora il pubblico di non guardarla ma di ascoltare le sue parole che per l’ultima volta denunciano il peggior regime totalitario della storia, l’integralismo islamico, che per l’ultima volta danno la sensazione di sentire tra i presenti in sala finalmente in respiro di Oriana.