Affrontare una mostra all’interno della chiesa di San Gennaro all’Olmo è cosa certamente impegnativa ed elaborata. Una vera e propria sfida alla quale Miranda Gibilisco non ha saputo resistere e, con la passione che la contraddistingue, ha immediatamente aderito. E’ da questo gioiello architettonico, da poco restituito alla collettività, che parte il suo nuovo e articolato lavoro. L’edificio è pretesto e base di partenza per una nuova ricerca ”avanzata” che, senza esitazione, inserendosi nella struttura stessa, ne modifica i contorni stilistici e i messaggi specifici ad esso correlati. Lo sguardo, catturato dalla complessità dei rilievi, corre sulle decorazioni barocche, sui marmi preziosi, continuamente distratto ed incuriosito dai tanti particolari. Il lavoro dell’artista diventa in tal modo più arduo e ambizioso. Con attenzione scientifica individua i punti nevralgici e li fa propri. Si materializzano così vere finestre su un esterno immaginato, aperture impreviste che veicolano sensazioni contrastanti, scompaginando quell’ordine, visivamente rituale, al quale quel tipo di architettura ci ha da sempre abituati. Scatti fotografici diventano mezzo per ridisegnare nuovi criteri stilistici e scrivere di cose passate e future. Brandelli di natura emergono, s’ingigantiscono, prendendo e perdendo sostanza. E’ un mare dal quale pescare semplici elementi che l’artista, con estrema misura e raffinata lettura, trasporta su materiali trasparenti che tornano, a loro volta, a ritracciare spazi finiti. Così loro malgrado, ci costringono a entrare in una “natura nova” nella quale l’immagine non è solo portatrice stessa della sua storia, ma vera e propria espressione d’arte. Sarebbe però un errore lasciarsi semplicemente sedurre da queste creazioni. All’origine di tutto ciò c’è la precisa volontà di trascrivere come in un diario i pensieri più intimi, riconducibili a un’irrequietezza che da sempre anima il suo lavoro. Il minimalismo sintetico che le appartiene la porta a concentrare le emozioni dirottandole su nuovi idiomi fotografici, riuscendo peraltro a riconsegnarci una parte di quella laica memoria, patrimonio e bene comune. Con determinazione si spinge all’interno di San Gennaro all’Olmo. Un organo, una teca d’altare diventano supporti involontari ma irrinunciabili, per intraprendere un duplice discorso. Da un lato c’è la risolutezza di rispondere all’esigenza antica d’essere parte integrante di quel paesaggio che è mezzo trainante della sua ricerca. Elementi naturali messi a nudo, presi, sezionati, visitati nelle parti più intime, diventano “nuovi oggetti da identificare”. Osservarli è come ascoltare echi remoti, ricompattare esperienze primitive, riscoprire epidermici contatti. In contrapposizione troviamo la volontà dirileggere e interagire con la struttura stessa che la costringe, con intransigenza, ad avvicinare le sue istallazioni oltre che a percepibili messaggi sensoriali, a vere e proprie costruzioni spaziali. Questa è la grande innovazione che Miranda materializza con sapienza. Immagini che, attraverso supporti incorporei ed effimeri, prendono sostanza e nello stesso tempo si smaterializzano. Ridefiniscono lo spazio, si scompongono, si modificano, per poi ripresentarsi sotto altra forma, restituendolo più duttile e disponibile ad altre percezioni. Gli elementi pur fondendosi tra loro non rinunciano a vivere di luce propria. Così un immaginario quanto tangibile percorso d’immagine, sponda di fiume o di mare, ci conduce nel suo eterno divenire: una linea continua e sinuosa – vi si può accedere da qualsiasi punto – è sempre partenza e approdo di ogni cosa, è riflessione costante di umanità rinnovate. Nel frattempo pone sugli altari frammenti brevissimi di luce, di acque, di vapori. Le immagini ci risucchiano, ci attirano nel loro interno denso d’incognite. Siamo assaliti da un senso di vertigine misto a sgomento. Disagi inusuali che scaturiscono da icone portatrici di ben altri messaggi. Bastano però pochi attimi per decidere e spiccare il volo. Tutto si sacralizza e sfiora il Divino. La sua concezione matura del mondo la porta a una scarsa ortodossa visione delle inquadrature. Nascono tagli strategici, immagini quasi rubate, spiate da una metaforica toppa della serratura. Come il viaggiatore, sulla strada che porta all’antica città di Petra, improvvisamente, esce dal canyon e intravede in un esasperato verticalismo: “il miracolo”, così Miranda Gibilisco, spinta dal desiderio del viaggiatore di scoprire e scoprirsi, ci costringe a vedere con i suoi occhi, ci spinge a desiderare quel “viaggio”, alla scoperta di quella natura primordiale, fonte inesauribile di forza vitale, di energia, ostinata promotrice di quel tracciato che è intima via per la conoscenza del nostro io. Ecco il senso del suo lavoro. Lo scoprire nuovi percorsi, nuove strade attraverso nuovi pensieri, non possono far altro che proiettarci in un divenire, dove sacro e profano fondendosi ci rimandano l’esatta misura della natura umana.