Dal 4 gennaio scorso è in scena, al Foyer del Teatro Carlo Gesualdo di Avellino, l’arte di Carlo Alleva e domani, venerdì 18 gennaio, sarà presentata alla presenza di Raffaele Della Fera una monografia dedicata all’illustre artista irpino in occasione del ventennale dalla scomparsa.
L’opera editoriale ricostruisce, tappa dopo tappa, tutta la vicenda umana ed artistica del pittore Carlo Alleva; si tratta di una raccolta prismatica e sfaccettata della grande arte del pittore lacedoniese che a pieno titolo si inserisce nel cartellone “Arte in scena” che il Teatro Gesualdo ha deciso di creare per omaggiare tutte le forme d’arte, tutti i linguaggi della cultura e tutti i talenti che coltivano e difendono il bello.
E proprio la vita di Carlo Alleva è stata una continua ricerca del bello; una vita piena, immersa nella continua “sovversione” delle regole date ad eccezione di quella imposta dall’amore per tutto e per tutti. Il pittore, nato a Lacedonia il 5 settembre del 1932, è stato una figura importante tanto da segnare la vicenda Irpina della seconda metà del Novecento. Nel piccolo centro irpino, Alleva vi trascorre l’infanzia e la prima giovinezza dipingendo paesaggi, composizioni sacre, ritratti e nudi. Poi si trasferisce, nel 1952, a Napoli dove frequenta l’Accademia di Belle Arti e dove segue la Scuola Libera di Nudo del maestro Domenico Spinosa. Con l’opera “Notte nuda” negli anni 60’ fissa i canoni di quella corrente artistica e culturale che definirà Neofigurativismo in polemica con l’astrattismo, il realismo tradizionale e il realismo propagandistico. Da allora per Alleva si susseguirono una serie di premi e valide collaborazioni: dalla nomina a membro dell’Accademia di San Luca di Roma, a Presidente dell’Unione Artisti Europei; dall’amicizia con Domenico Purificato a quella con Alfonso Gatto e Salvatore Quasimodo.
Dopo una vita dedicata all’arte, Carlo Alleva si spegne ad Avellino il 9 gennaio 1993.
Se oggi si chiede ai tanti artisti, amici e uomini che lo hanno conosciuto un ricordo di questa figura, forse tutti risponderebbero che ancora lo immaginano camminare lungo il Corso Vittorio Emanuele avvolto nel suo mantello nero, con la barba a volte incolta, gli occhi di brace oppure nelle giornate nebbiose lo immaginano dipingere gli angoli della città e di tanto in tanto fermarsi a guardare fisso dinnanzi a sé attratto forse dalla bellezza che sempre lo ha circondato. Tutti ancora ricordano il suo amore per i discorsi e per l’ascolto, i lunghi dibattiti su molteplici temi, dalla superiorità dei colori ad olio tedeschi, alla convinzione di aver fondato il neofigurativismo.
Fu un personaggio straordinario, singolare, eccentrico e forse fuori luogo per un irpinia che negli anni 60’ faticava a svegliarsi dal punto di vista artistico e culturale; pur vivendo nel sociale ( Alleva lo si vedeva sempre tra il Circolo della Stampa e la galleria Lombardi-Arte ), era un solitario apparentemente burbero ma dotato della grandissima capacità di commuoversi davanti ai sentimenti, valore che forse da un artista non ci si aspetta. Ma lui era così. Ancora oggi quanti lo hanno conosciuto si commuovono, ricordandolo, passando davanti la Chiesa del Rosario e soffermandosi ad ammirare la scena religiosa che Carlo Alleva disegnò nella lunetta del mosaico incastonato nel timpano della facciata della Chiesa.