Sempre più spesso si parla di Islam ma il più delle volte senza cognizione di causa o, peggio, mossi da diffidenza e luoghi comuni che poco hanno a che fare con la vera essenza della religione.
Eppure, anche in Occidente – nonostante l’assenza di dati certi – sono sempre più numerose le conversioni alla fede islamica, soprattutto al femminile.
Quello del “ritorno” all’Islam, rappresenta dunque un fenomeno sociologico certamente degno di attenzione, sintomatico di un processo di ricerca, promosso da un forte desiderio di conoscenza che sfocia in un percorso personale e spirituale complesso.
A confermarlo Cinzia Aicha Rodolfi,che nel suo libro autobiografico dal titolo inequivocabile “Dalle sfilate di moda al velo…una musulmana italiana” (pp.112, Ed.Al Hikma, 2012, €12.00), ci racconta con sensibilità il suo personale cammino alla ricerca del Dio unico.
E sfata molte false credenze a proposito di velo (“manifestazione di modestia e castità”), che indossa con convinzione anche a costo di rinunciare al lavoro, di Ramadan (il digiuno) dove l’astensione “è fonte di serenità e felicità nella consapevolezza di nutrire l’anima”.
Una via di mezzo tra la narrativa ed il saggio, il libro della Rodolfi ci porta per mano sulla strada di una rinnovata comprensione anzitutto di se stessi, utile ad operare scelte consapevoli e definitive ma anche di una religione che non è un monolite ma un insieme di esperienze, di posizioni ed idee.
Dalle sfilate di moda, dal mondo patinato del jet set ad una spiritualità senza se e senza ma, totalizzante e rassicurante dove l’Io trova la propria ragione di essere nella misericordia e quella pacatezza dello spirito è un valore assoluto nel quale si trova la propria dimensione di donna e di credente.
La religione, dunque, non come semplice e meccanico“insieme di gestualità, riti e parole da vivere in determinate situazioni” ma come “attestazione di fede e sottomissione alle leggi di Dio”, amore ritrovato che si scioglie in un pianto liberatorio e sincero,nell’abbraccio del Supremo.
Convertitasi nel 1999, lascia le passerelle giovanissima (“stavo perdendo la stima di me stessa”) avvertendo un disagio strisciante, quasi una premonizione di ciò che sarebbe successo di lì a poco. Il viaggio in Tunisia è il prologo di un cammino in punta di piedi, graduale e discreto, frutto di esperienze emozionali cui si abbandona emotivamente con la consapevolezza propria delle esperienze precedenti.
Dunque, sin dall’inizio di questo percorso, quando avverte che un cambiamento sta per realizzarsi (“man mano che l’aereo perdeva quota, si risvegliò una strana e piacevole sensazione….), quasi si trattasse di un destino ineluttabile culminato con l’incontro del futuro marito (“gli occhi si incrociarono al primo sguardo e mi sentii come un burattino legato a fili invisibili”) fino alla definitiva presa di coscienza, l’autrice dimostra una determinazione fuori dal comune.
Ciò, senza trascurare quel necessario approfondimento, lo studio che la porta ad essere una buona musulmana e ad operare quotidianamente e con fierezza per testimoniare il suo credo.
Il tutto senza abiurare le proprie origini ed il suo essere occidentale; ciò, le consente di conciliare fede e cultura d’origine e di interpretare al meglio anche alcuni concetti religiosi in chiave moderna.
Al di là dell’aspetto spirituale, la Rodolfi indugia anche sulle conseguenze pratiche della scelta, sul rapporto con gli altri, con la famiglia, gli amici e quello che era (ed è) il suo mondo.
Racconta i primi disagi, l’ansia e l’ossessione di affermare a tutti i costi la sua nuova condizione anche esteriormente che si scioglie in un diverso equilibrio che la persuade che la coerenza con se stessi è la migliore delle spiegazioni. Capisce che è la sua fede a renderla una persona migliore.
Insomma, un libro che non indulge ai soliti schemi editoriali, anzi.
Esso ha il pregio di andare oltre quei clichè della donna sottomessa, costretta e maltrattata che esercitano un certo appeal sul pubblico e che caratterizzano l’immaginario collettivo in una visione misogina della società musulmana. Nulla di più sbagliato.
Il merito, oltre che nel confutare tali teorie, sta proprio nel mostrare l’immagine di una donna libera, capace di operare scelte profonde ma meditate, cosciente del suo ruolo di compagna, di madre e di soggetto attivo in seno alla comunità, musulmana e non.
Nuccio Franco